Primo scambio Gnl in yuan, la Cina punta alla leadership energetica

Se dopo il gas anche il petrolio dovesse essere scambiato nella moneta cinese si indebolirebbe il dollaro con pesanti ripercussioni sul sistema economico

Gas, petrolio, rinnovabili. La Cina ha iniziato la lunga marcia con l’obiettivo di diventare leader globale dell’energia. La compagnia petrolifera nazionale cinese Cnooc e la francese TotalEnergies hanno completato il primo scambio di gas liquefatto, 65mila tonnellate provenienti dagli Emirati Arabi, con regolamento in yuan attraverso la Borsa del petrolio e del gas naturale di Shanghai. “La Cina continuerà a importare grandi quantità di greggio, a espandere le importazioni di gas naturale liquefatto, a rafforzare la cooperazione nello sviluppo di petrolio e gas a monte, nei servizi di ingegneria, stoccaggio, trasporto e raffinazione e a sfruttare appieno la Shanghai Petroleum and National Borsa del gas come piattaforma per effettuare il regolamento in yuan del commercio di petrolio e gas“, aveva detto Xi Jinping a dicembre durante una storica visita in Arabia Saudita. D’altronde Pechino sta rapidamente diventando la forza dominante nel mercato del gas naturale liquefatto, con gli acquirenti cinesi che rappresentano il 40% dei recenti contratti di Gnl a lungo termine.

La Cina da anni cerca di stabilire più accordi commerciali in yuan per aumentare la rilevanza della sua valuta sui mercati globali e sfidare il dominio del dollaro Usa nel commercio internazionale, incluso quello energetico. La Russia sta dando una mano al progetto di Pechino, passata al commercio in yuan sulla scia delle sanzioni occidentali sulle sue esportazioni, importazioni e commercio di energia, poiché la valuta cinese è diventata l’unica alternativa di Putin per ridurre l’esposizione al dollaro e all’euro. Attualmente lo yuan rappresenta solo il 2,7% del mercato, rispetto alla quota del dollaro del 41%. Il dollaro è leader mondiale da decenni grazie al fatto di essere la moneta di riferimento del petrolio. Il mondo arabo però sta cercando una seconda via, della seta appunto. Tra sauditi e cinesi è in atto un’accelerazione della partnership, che passa da un incremento delle forniture di greggio da parte di Riad e dall’offerta di tecnologia, investimenti e mercati di sbocco da parte di Pechino. Nell’ultima settimana Saudi Aramco, colosso dell’energia e della chimica arabo, ha siglato un accordo con Rongsheng e una joint venture Hapco che vedrà Aramco fornire un totale di 690mila barili al giorno di attività di conversione da greggio ad alta chimica alla Cina.

Gli Usa non stanno certo a guardare, investendo su nuove perforazioni dall’Alaska al Canada per aumentare la produzione con molteplici scopi: accrescere l’offerta globale per tenere a bada i prezzi e trovare alternative al petrolio russo, messo al bando per la guerra in Ucraina, ma sempre più presente in India e in Cina. Washington lentamente sta però perdendo appeal nel ricco mondo saudita e se dopo il gas, anche il petrolio iniziasse a essere scambiato in yuan, inizierebbe a indebolirsi il ruoto di moneta riserva del dollaro. Con pesanti ripercussioni sull’intero sistema economico occidentale.

L’Occidente fra l’altro appare in concorrenza nella corsa alla decarbonizzazione, con la Casa Bianca che sta investendo inizialmente circa 400 miliardi di dollari per attirare produzioni e investimenti rinnovabili e di gigafactory a scapito dell’Europa alle prese con una disunione di intenti sulle vie da percorrere per raggiungere gli stringenti obiettivi climatici che Bruxelles stessa si è data. Tutt’altra musica a Pechino. La Cina continua a dominare la classifica globale della catena di fornitura di batterie agli ioni di litio di BloombergNEF (BNEF), sia per il 2022 che per le sue proiezioni per il 2027, grazie al continuo supporto alla domanda di veicoli elettrici e investimenti in materie prime. L’ex celeste impero ospita attualmente il 75% di tutta la capacità di produzione di celle della batteria e il 90% della produzione di anodi ed elettroliti. L’aumento dei prezzi del litio ha anche portato a maggiori investimenti nelle raffinerie di carbonati e idrossidi nel Paese, rendendolo il principale raffinatore di metalli per batterie a livello globale, quanto mai necessari per la diffusione di veicoli elettrici. E sempre i dati di BNEF mostrano che è sempre la Cina ad aver attratto più fondi della transizione energetica con 546 miliardi di dollari, circa la metà dell’ammontare totale mondiale del 2022.