Riduzione degli sprechi, la via d’uscita alla povertà energetica

Così la Commissione europea vuole fare dell’efficienza energetica uno strumento-chiave, sia per abbattere le emissioni di gas serra del 55% sia per aumentare gli standard di prestazioni energetiche nell’edilizia

Combattere la povertà energetica contrastando sprechi e storture nella progettazione degli edifici e nei consumi della società europea. Con questo obiettivo come faro al 2030 la Commissione europea ha posto le basi per fare dell’efficienza energetica uno strumento-chiave, sia per abbattere le emissioni di gas serra del 55% entro la fine del decennio sia per aumentare gli standard di prestazioni energetiche nell’edilizia.

È del luglio 2021 la proposta della Commissione di portare l’obiettivo di riduzione del consumo finale di energia (ovvero l’energia consumata dagli utenti finali) al 36% e al 39% per il consumo primario – che include anche la produzione e la fornitura di energia – rispetto a quello stimato nel 2030, rendendoli vincolanti a livello europeo. La proposta si inserisce nel pacchetto Fit for 55, l’insieme delle norme per l’attuazione del Green Deal europeo, e nello specifico come revisione della direttiva del 2018, il cui obiettivo attuale è fissato a una riduzione del 32,5% (sia il consumo primario sia finale) rispetto a quello stimato entro la fine del decennio. Gli Stati membri – che hanno concordato la propria posizione negoziale lo scorso 27 giugno in vista dei triloghi con il Parlamento europeo – dovranno stabilire l’obiettivo generale Ue attraverso contributi e traiettorie nazionali nei propri piani nazionali integrati per l’energia e il clima (Pnec), da aggiornare nei prossimi due anni.

A Bruxelles si sta discutendo anche su un altro livello per contrastare la povertà energetica: una revisione della direttiva del 2010 sul rendimento energetico nell’edilizia, per introdurre standard minimi obbligatori per il parco immobiliare dell’Ue. Se l’edilizia è responsabile del 40% di tutti i consumi energetici dell’Unione, l’obiettivo ultimo della Commissione è di arrivare al 2050 con un parco immobiliare a zero emissioni nette, sia per gli edifici ancora da costruire sia per quelli vecchi da ristrutturare. Secondo la proposta del dicembre 2021 da parte del gabinetto guidato da Ursula von der Leyen, i Paesi membri dovranno individuare e ristrutturare almeno il 15% del proprio patrimonio edilizio con le peggiori prestazioni, passando dalla classe energetica più bassa (G) al grado F entro il 2027 (per gli edifici non residenziali) ed entro il 2030 (per gli edifici residenziali). L’approccio è quello di un passaggio graduale a requisiti minimi di efficienza energetica, partendo dagli edifici con le prestazioni peggiori: entro il 2025 gli attestati di prestazione dovranno essere tutti basati su una scala armonizzata di classi di rendimento energetico, da A (edifici a zero emissioni) a G. È prevista anche l’introduzione un “passaporto di ristrutturazione o di rinnovo”, che servirebbe a registrare le diverse fasi di ristrutturazione sempre sul fronte dell’efficienza energetica.

Come fanno sapere fonti diplomatiche, in Consiglio non è ancora stata definita la posizione degli Stati membri su questo dossier, dal momento in cui la presidenza di turno francese non l’ha analizzata in profondità negli ultimi sei mesi e la discussione tra i 27 governi è ancora in fase preliminare. In Italia – dove era scoppiata una polemica prima della pubblicazione della revisione per le possibili ricadute dell’introduzione di un obbligo (che non c’è) di ristrutturazione per alzare la classe energetica prima della vendita o dell’affitto degli edifici che non rispetteranno determinati requisiti di efficienza – il target proposto dalla Commissione richiederebbe “combinazioni importanti”, fanno sapere le fonti, ma bisogna aspettare la bozza di compromesso prima di qualsiasi speculazione.