Toia: “Il Green Deal non è un vezzo, uscire dal mercato russo si può”

Patrizia Toia, vicepresidente della commissione Industria ed Energia del Parlamento europeo, insiste sulla necessità di uscire della dipendenza energetica russa

PATRIZIA TOIA

Il Green Deal “non è un vezzo”, ma “l’unica” risposta dell’Unione europea alle grandi sfide, sempre più attuali anche alla luce delle tensioni geopolitiche. Va portato avanti, per fare dell’Ue la vera protagonista della nuova globalizzazione. Parola di Patrizia Toia (PD/S&D), vicepresidente della commissione Industria ed Energia del Parlamento europeo, che nell’intervista concessa a GEA insiste sulla necessità di uscire quanto prima della dipendenza energetica russa. “Non è facile ma è possibile”.

Alla luce dell’aggressione russa, ci sono rischi per il green deal?

“Esiste il rischio che alcuni usino il rallentamento economico e la crisi energetica causati dall’aggressione russa all’Ucraina come una scusa per rallentare sugli obiettivi di decarbonizzazione del Green Deal, ma sarebbe un grande errore, che nasce dalla poca comprensione delle politiche climatiche dell’Ue. Il Green Deal non è solo un vezzo ambientalista che ci possiamo permettere perché
siamo una società ricca, è una necessità ambientale, sociale ed economica che è e resta la nostra unica possibilità per difendere e mantenere i nostri livelli di benessere aumentando la giustizia sociale. In un momento di crisi questa necessità è ancora più forte, basti pensare agli obiettivi per aumentare gli investimenti in energia rinnovabile”.

L’incertezza economica dei mercati rischia di fare perdere investitori. Lei vede questo rischio? E che strumenti ha l’UE per attrarli?

“Sicuramente l’incertezza non fa bene l’economia e inoltre probabilmente stiamo andando verso una ‘riglobalizzazione selettiva’, cioè un ripensamento delle catene del valore globali che tenga conto delle incertezze e delle tensioni geopolitiche. Per fare un esempio: è difficile immaginare di raggiungere gli obiettivi dell’Ue sulle rinnovabili affidandoci alle forniture di pannelli solari di un paese autoritario come la Cina che peraltro si è di fatto schierata dalla parte della Russia, che ha giurato fedeltà alla Russia. Già oggi ad esempio molti capitali stranieri stanno lasciando la Cina, oltre alla Russia, per mettersi al riparo da eventuali sanzioni o irrigidimenti commerciali, come la sospensione del partenariato sugli investimenti Ue-Cina che abbiamo votato l’anno scorso al Parlamento europeo. Per attirare questi capitali l’Unione europea deve rappresentare un’alternativa valida, evitando di ripetere gli errori del passato come quello del gasdotto North Stream 2, ed evitando di interpretare questa fase come una via libera al protezionismo e all’autarchia, e diventando al contrario la potenza mondiale leader di una nuova globalizzazione, attenta ai diritti e alla democrazia, e quindi più sicura”.

Draghi spinge per uscire dalla dipendenza energetica russa, Gentiloni sostiene che non è facile. L’Europa ce la può fare? Se sì, come e in che tempi?

“L’Europa può e deve smettere di dare un miliardo di euro al giorno alla Russia per le forniture energetiche. Non è facile ma è possibile, e per quanto riguarda l’Italia lo dicono le stime del governo sul Def e quelle della Banca d’Italia. Esistono stime simili per la Germania che ridimensionano di molto l’apocalisse economica descritta dai difensori del gas russo. Nella peggiore delle ipotesi l’Italia dovrebbe affrontare una recessione di mezzo punto percentuale. Sono sacrifici necessari e possibili. Per combattere la pandemia non abbiamo esitato, giustamente, a prendere misure che hanno causa una recessione di nove punti percentuali. Inoltre non dimentichiamo che un embargo immediato su gas e petrolio russi, come abbiamo chiesto a larga maggioranza al Parlamento europeo e con il voto favorevole di tutti gli eurodeputati italiani con una sola eccezione, avrebbe l’effetto di accorciare e depotenziare il conflitto che ha un costo enorme sull’economia. La scelta non è tra fare sacrifici per l’embargo o vivere nel mondo precedente al 24 febbraio, il giorno dell’invasione russa. La scelta è tra due costi economici, embargo o proseguimento della guerra. Draghi ha detto che dobbiamo scegliere tra la pace e i condizionatori, ma questo è vero solo nel breve termine, sul lungo termine invece dobbiamo scegliere tra la pace e i condizionatori o la guerra e un futuro economico sempre più incerto in cui non ci potremo permettere i condizionatori”.

Il parlamento chiede l’embargo di gas e petrolio russi, ma la risoluzione è non legislativa. Come convincere gli Stati membri?

“Con le armi della democrazia, che è un grande baluardo per contrastare la guerra. Dobbiamo convincere i governi e coinvolgere l’opinione pubblica che è sempre più consapevole e già oggi, secondo i sondaggi, è disposta a fare sacrifici pur di contribuire a porre fine alla guerra. Basta guardare all’ultima canzone del popolare gruppo rock italiano Maneskin “Stand up for Ukrain” (Gasoline). La domanda che pongono è destinata a fare breccia: “how are you sleeping at night?” Come dormi la notte? Sempre meno persone nelle nostre democrazie sono disposte ad andare a letto la sera con le immagini dei massacri russi negli occhi e la consapevolezza di contribuire a finanziare la macchina da guerra di Putin con un miliardo di euro al giorno”.