Zelensky ha ragione ma l’Unione europea si sta muovendo. A parte Orban…

Con il quinto pacchetto di sanzioni la Ue non abbandona l'Ucraina. Per continuare a farlo, però, il sistema produttivo deve essere protetto perché rimanga robusto e utile

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Non riesco a tollerare alcuna indecisione dopo quello che abbiamo attraversato”. La posizione di Volodymyr Zelensky, espressa in un discorso davanti al Parlamento irlandese è comprensibile. Sotto le bombe ci sta il suo popolo e dunque è legittimato a dire che “nel momento in cui tutto il mondo è al corrente dei crimini commessi contro il nostro popolo, dobbiamo continuare a convincere imprese europee a lasciare il mercato russo, dobbiamo continuare a convincere uomini politici stranieri a tagliare i legami delle banche russe con il sistema finanziario internazionale, dobbiamo continuare a convincere l’Europa che il petrolio russo non può più finanziare la macchina da guerra russa”. Ha ragione, e non solo dal suo punto di vista.

Noi dell’Unione europea non siamo nella disperazione della sua situazione, e dunque secondo alcuni osservatori ce la stiamo prendendo con calma. Non è vero, o almeno, non è vero per la gran parte degli attori. Se da una parte abbiamo partner come la Polonia, o i baltici, che vorrebbero costruire un muro attorno alla Russia, dall’altra abbiamo governi come quello di Victor Orban che stanno facendo i salti mortali per dimostrare a Mosca la loro amicizia, tentando di boicottare per quanto possibile le sanzioni dell’Unione.

Nel mezzo tutti gli altri, con le esigenze più diverse, dalla Spagna che va alla grande con le energie rinnovabili, ma produce poco, alla Germania, che senza il gas russo fermerebbe la sua possente, ma antiquata industria “locomotiva d’Europa”. Nonostante tutto questo si è già arrivati ad un quarto pacchetto di sanzioni che ha aperto ad un quinto che inizia a toccare il tema delicatissimo dell’energia, tagliando le importazioni di carbone. È poco? Certo, materialmente sì, ma si è toccato il tema che solo poche settimane fa era assolutamente tabù, si è rotto un fronte, che ora si chiama “petrolio” e più in là sarà “gas”.

Lunedì 11 i ministri degli Esteri discuteranno per la prima volta il tema nel dettaglio, con l’obiettivo di superare l’opposizione dell’Ungheria, che tenta di complicare il tutto chiedendo un Consiglio europeo dei capi di Stato e di Governo per deciderlo. La sensazione è che se servirà a sbloccare la questione petrolio il Consiglio sarà concesso, il presidente Charles Michel ha ammesso che “prima o poi” misure dovranno essere prese.

Combattere una guerra senza armi, aiutando per il momento l’Ucraina a respingere l’assalto russo, non è stato poco, e non sarà poco. Per continuare a farlo, però, il sistema produttivo europeo deve essere protetto, perché resti robusto e utile, e questo richiederà tempo: rimediare gli errori del passato non è mai facile.