L’eterno scontro tra ambientalisti e negazionisti ha prodotto un saggio scritto da Roger Abravanel e Luca D’Agnese. I dati scientifici, spiegano i due scienziati in ‘Le grandi ipocrisie sul clima. Contro i burocrati della sostenibilità e i nuovi negazionisti del clima’ non lasciano dubbi: “Già oggi in Iraq e nei Paesi del Golfo Persico temperature che superano i 50 gradi provocano il divieto per legge di lavorare all’aperto tra le 11 e le 17, e le previsioni dicono che, entro il 2035, in un Paese molto più popoloso (e più agricolo) come l’India non si potrà più lavorare all’aperto in molti giorni l’anno, con profondi sconvolgimenti socioeconomici”. Come riporta il Corriere della Sera, il problema secondo Abravanel e D’Agnese è aggravato da “quattro grandi ipocrisie”. La prima è dei “nuovi negazionisti che riconoscono che il cambiamento climatico è un grave problema, distinguendosi così dai negazionisti ‘duri e puri’, ma che in realtà trovano mille ragioni per rinviare le iniziative concrete necessarie per combatterlo oggi”. La seconda ipocrisia è “della politica che, pur dichiarandosi sensibile al problema, spera di risolverlo senza impegnare soldi pubblici, in questo alleandosi con altri grandi ipocriti nel mondo della finanza, che dichiarano che la finanza privata delle loro alleanze per il clima salverà il pianeta”. La terza, quella “delle imprese che investono nella sostenibilità quel tanto che basta a non finire in fondo alle classifiche Esg che pensano che con un po’ di burocrazia si possa ripulire la coscienza”. Quarta, quella “di accademici, presunti guru del management e consulenti, da Harvard in giù, che sostengono di voler reinventare il capitalismo per renderlo sensibile ai problemi del pianeta e della società…”.
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