ANTONIO GOZZI CEO GRUPPO DUFERCO
Una recente indagine dell’ISPI, Istituto italiano che si occupa di analisi geopolitica e geoeconomica a livello internazionale, su quali debbano essere, secondo i cittadini italiani, le priorità della nuova Commissione Europea dà i seguenti risultati:
Il sondaggio ha coinvolto un campione omogeneo alla popolazione italiana per un totale di circa 800 interviste condotte online. Era possibile un massimo di due risposte.
I risultati del sondaggio si prestano ad una serie di riflessioni che evidenziano la complessità del percepito da parte dei cittadini italiani (e non credo che un sondaggio condotto su un campione di cittadini europei darebbe risultati molto diversi), e, in generale, un atteggiamento per cui si rivendicano giustamente diritti ma con una scarsa consapevolezza che la richiesta di diritti comporta assunzione di responsabilità e quindi doveri e possibili sacrifici.
Il caro bollette e la sicurezza energetica paiono la questione principale anche perché veniamo da una crisi inflazionistica acuta, fortunatamente di breve durata, provocata dall’esplosione dei prezzi dell’energia a loro volta causati dalle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina, ed in particolare dalla scomparsa delle forniture di gas russo. Il costo dell’energia e le bollette di luce e gas, con il loro vertiginoso aumento nel 2022 e 2023, hanno falcidiato il reddito delle famiglie italiane e allora è logico che questa venga percepita come una priorità.
La visione complessiva che emerge dal campione intervistato di cittadini italiani è però confusa e risulta incoerente, perché se da un lato molti richiedono sicurezza energetica, dall’altro la difesa comune europea, che in qualche modo dovrebbe garantire una maggiore sicurezza strategica e quindi anche energetica, risulta una priorità per pochi. E ancora: sarà ben difficile conciliare due priorità, bollette basse e, contemporaneamente, accelerazione della transizione verde, quest’ultima richiesta a gran voce dal 22% del campione. Chi infatti dovrebbe pagare i costi della transizione verde?
Oltre alla sottovalutazione dell’importanza della difesa comune europea, che indica anche, nel vissuto dei cittadini presi a campione, la rimozione delle grandi questioni geopolitiche che minacciano l’Europa, dal neoimperialismo russo che minaccia il lato est dell’Unione Europea, all’aggressività dell’Iran e delle sue milizie in Medio Oriente che si ripercuote sul Mediterraneo e sul Mar Rosso, c’è poi una marcata non considerazione dell’importanza delle attività economiche.
Agricoltura e industria, e la loro tutela e difesa, sono in fondo alla classifica per ordine di priorità e importanza.
Colpisce in particolare l’ultimo posto nel sondaggio occupato dall’industria proprio nel momento in cui il declino economico dell’Europa sempre più spinto (20 anni fa il PIL europeo era equivalente a quello degli USA oggi è pari a 2/3 di quello americano) e la continua perdita di peso economico nei confronti di USA, Cina e, in prospettiva, India dovrebbero riportare al centro dell’attenzione proprio l’industria e la sua capacità di creare sviluppo, investimenti, innovazione, tecnologia, valore, occupazione.
Questa non considerazione e sottovalutazione del tema dell’industria ha certamente radici lontane. Decenni di silenzi, di disinformazione, ma anche di incapacità degli imprenditori italiani di comunicare il bello e l’eccellenza della manifattura nazionale hanno confinato i temi dell’industria in un mondo “minore” dal punto di vista della percezione dei cittadini.
Si fa una grande fatica in Italia, ma in Europa se possibile ancora di più, a far comprendere il valore dell’industria come architrave dello sviluppo economico e dell’inclusione sociale. Si registra una diffusa avversione per la crescita (tanto che si è arrivati a teorizzare la “decrescita felice”) e una diffidenza verso le imprese, l’innovazione, le tecnologie e il profitto visto come furto, delitto, ingiustizia invece che come premio per il coraggio, il merito e la capacità, che hanno lungamente permeato vasti settori politici, sindacali, culturali.
Retaggi del conflitto sociale del secolo scorso e di estremismi ambientalistici del nuovo millennio hanno condizionato per molto tempo l’opinione pubblica e gli organi di informazione. La fine dell’era delle grandi fabbriche, delle grandi concentrazione operaie, che creava un nesso indissolubile, anche se spesso conflittuale, tra industria e lavoro, ha certamente contribuito a diminuire l’attenzione sulle molteplici condizioni di sopravvivenza, competitività e successo dell’industria stessa.
E così ci ritroviamo oggi, come europei, indeboliti dal punto di vista della struttura economica e incerti sul nostro futuro.
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