Ue, Schmidt (Cese): “Agricoltori rischiano di pagare il prezzo dell’accordo con Mercosur”

“Abbiamo paura che saranno gli agricoltori a pagare il prezzo dell’accordo commerciale con il Mercosur”. Peter Schmidt, consigliere del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) esprime in un’intervista a GEA la propria preoccupazione sul patto con l’America Latina, mentre difende il Green Deal (almeno negli obiettivi) e spiega perché l’ingresso dell’Ucraina sarebbe una notizia positiva per il settore agrifood europeo.

Quali ritiene che siano le problematiche maggiori del settore agricolo europeo?

“Per rispondere allargherei lo sguardo al sistema alimentare in generale, non solo al settore agricolo, che ne è una parte e che risente delle scelte degli altri attori del sistema. Le problematiche sono molte: alcune sono nuove, altre meno. Tra queste ultime la principale è che gli agricoltori non generano abbastanza profitto per essere resilienti e sostenibili. Qui si inserisce una problematica più recente, che è quella del cambiamento climatico, probabilmente la maggiore minaccia per il settore nel futuro. Gli agricoltori devono avere una quota maggiore dei profitti del sistema alimentare, di cui al momento sono la parte più debole. La nostra proposta è dunque quella di rafforzare la loro posizione contrattuale. Alcuni dicono che è necessario che i contadini vengano pagati almeno il prezzo di produzione della merce, ma a livello pratico questo è molto difficile da organizzare in un’economia di mercato. Riteniamo più efficace rafforzare la loro posizione nei confronti della vendita al dettaglio. Lo abbiamo visto l’anno scorso con il Dialogo strategico lanciato da von der Leyen: una conversazione onesta tra gli attori del sistema alimentare è possibile. Ritengo infine utile stabilire dei consigli del settore a livello europeo, per facilitare un processo di dialogo delle varie parti in causa”.

Come giudica il Green Deal? Va nella direzione giusta per aiutare gli agricoltori?

“Il Green Deal era la risposta giusta, lo abbiamo sostenuto anche a livello di Cese. Il problema è che è stato un piano imposto, non discusso a sufficienza con gli agricoltori. Questo è ciò che ha permesso ai populisti di mobilitarli, additando il Green Deal a causa dei loro problemi. Questo è sbagliato, come detto prima ci sono problemi di lunga data nell’intero sistema alimentare. La parte nuova è il cambiamento climatico, di cui gli agricoltori vedono le conseguenze ogni giorno nel loro lavoro. La Commissione avrebbe dovuto dire “vogliamo arrivare a un certo obiettivo, e lo faremo in questa maniera”, ma questa seconda parte è un po’ mancata. Dunque le finalità erano giuste, ma le modalità sono state sbagliate, così come lo è stata la comunicazione. Ma in fin dei conti il Green Deal è ancora la strada da seguire”.

Qual è la vostra posizione sull’accordo commerciale tra Ue e Mercosur?

“Abbiamo recentemente tenuto un dibattito sul tema. Abbiamo forti dubbi. Non affronta i punti critici che colpiranno gli agricoltori. Per esempio è un accordo commerciale senza reciprocità: avremo importazioni con standard inferiori, che aumenteranno la pressione sul settore. Dal momento che difficilmente sarà possibile cambiare il testo dell’accordo, ora dobbiamo capire quali meccanismi mettere in piedi per proteggere l’agrifood europeo. Nel nuovo ordine geopolitico anche questo è parte del piano di autonomia strategica. L’America Latina è per noi un’area fondamentale: siamo favorevoli a un accordo in via generale, ma temiamo che per come questo è stato concepito gli agricoltori ne possano pagare il prezzo”.

Quale pensa possa essere l’effetto sulla Politica agricola comune (Pac) del possibile ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea?

R. “Con l’attuale forma della Pac avremmo sicuramente dei disagi. L’Ucraina è un produttore enorme, con aree agricole gigantesche, una qualità del suolo diversa dal resto d’Europa e realtà aziendali molto più grandi. Tuttavia ritengo che l’ingresso di Kiev sia necessario non solo dal punto di vista geopolitico, ma anche da quello dell’agrifood. Le grandi aree dell’Ucraina, ma anche di altri potenziali nuovi Stati membri, possono essere usate almeno in parte per coltivare materiali eco-sostenibili per esempio per il packaging, eliminando la plastica. C’è già la tecnologia per farlo: serve solo molta terra da coltivare, e qui subentrerebbero i nuovi Stati membri, a partire dall’Ucraina. Serve però un cambiamento nella Pac, che abbia criteri diversi per le entrate degli agricoltori, altrimenti il sistema rischia di collassare”.

Come si può rendere nuovamente attrattivo lavorare in agricoltura? E come prevenire il conseguente spopolamento delle aree rurali?

“Le problematiche attuali ce le siamo auto-inflitte negli ultimi decenni, riducendo i servizi nelle aree rurali. Io sono cresciuto in campagna in Baviera negli anni ‘60: allora ce n’erano molti e le persone potevano rimanere. In loro assenza, e in assenza di lavori ben pagati, è inevitabile che i giovani cerchino altrove un futuro migliore. Per fare questo però ci vogliono molti soldi. Servono sicuramente finanziamenti europei, e su questo l’Ue non sta facendo abbastanza. Poi ci sono casi di successo. Vicino a dove abito, nell’area dell’Allgäu, c’è una cittadina di 2.500 abitanti che si chiama Wildpoldsried. Qui c’è un grande parco eolico che dà lavoro a molte persone e porta soldi all’amministrazione locale, che a quel punto può riportare facilmente i servizi nella zona. Dobbiamo agire però: la vittoria dell’Europa passa dalle sue aree rurali”.

Elena Fois

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