L’Europa si è messa d’accordo proprio all’ultimo, quando stavano passando i titoli di coda, salvando la faccia e, in fondo, la sua unità. Un’intesa sul filo di lana, là dove sicuramente il monito abbastanza netto e schietto lanciato da Mario Draghi all’inizio dei lavori ha avuto (ancora) il suo peso. Magari non tutti saranno contenti, immaginiamo, però sono stati compiuti decisi passi avanti sul price cap e sul Sure per l’energia. Si è ragionato su una piattaforma per acquisti comuni e qualcosa di complementare, anzi diverso, al Tff di Amsterdam in maniera che i prezzi del gas seguano una logica e non impazziscano al primo battito d’ali di farfalla. Soprattutto si è percepita “l’urgenza” di assumere “decisioni concrete” per evitare di fare il gioco di Vladimir Putin e risultare debolissimi agli occhi del mondo. Ci voleva tanto? Evidentemente sì.
Al netto dei tecnicismi di questo accordo, resta un fatto, anzi ‘il’ fatto: l’Europa ha provato a non disgregarsi di fronte agli interessi che solo raramente sono comuni. Sarebbe stato esiziale non trovare – pure obtorto collo – un punto di caduta che non offrisse all’esterno della Ue un’immagine posticcia, di Stati tenuti insieme con il nastro adesivo, anche se è chiaro che i rappresentanti del Nord hanno una visione diversa, a volte opposta, rispetto ai Paesi mediterranei. Ma questo, obiettivamente, non è storia di oggi e nemmeno di ieri o di ieri l’altro.
Dieci ore abbondanti di dibattito per tracciare la road map delle prossime settimane, ringraziando il cielo che l’autunno è caldo come non mai, i termosifoni dormono, le bollette (forse) non diventeranno ingestibili. Tutto quanto è successo tra giovedì e venerdì notte è un pizzino consegnato nelle mani di Putin, che avrebbe sperato in qualche fessurina per inserirsi con i suoi interessi e le sue sinistre strategie. Il commiato di Draghi è stato l’ultimo regalo all’Italia prima di salutare la compagnia. Dalla prossima settimana toccherà a Giorgia Meloni – presumiamo – gestire rapporti e grane, con Antonio Tajani – presumiamo bis – nella veste di ministro degli Esteri e quindi di suggeritore. Come Supermario, anche Tajani conosce bene corridoi e anfratti di Commissione e Parlamento Ue, dove non tutto è sempre come appare.
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