Italy's Prime Minister Mario Draghi (L) speaks with France's President Emmanuel Macron (2nd L), Greece's Prime Minister Kyriakos Mitsotakis (2nd R) and President of the European Commission Ursula von der Leyen (R) ahead of the second day of a EU leaders Summit at The European Council Building in Brussels on October 21, 2022. (Photo by JOHN THYS / AFP)
L’Europa si è messa d’accordo proprio all’ultimo, quando stavano passando i titoli di coda, salvando la faccia e, in fondo, la sua unità. Un’intesa sul filo di lana, là dove sicuramente il monito abbastanza netto e schietto lanciato da Mario Draghi all’inizio dei lavori ha avuto (ancora) il suo peso. Magari non tutti saranno contenti, immaginiamo, però sono stati compiuti decisi passi avanti sul price cap e sul Sure per l’energia. Si è ragionato su una piattaforma per acquisti comuni e qualcosa di complementare, anzi diverso, al Tff di Amsterdam in maniera che i prezzi del gas seguano una logica e non impazziscano al primo battito d’ali di farfalla. Soprattutto si è percepita “l’urgenza” di assumere “decisioni concrete” per evitare di fare il gioco di Vladimir Putin e risultare debolissimi agli occhi del mondo. Ci voleva tanto? Evidentemente sì.
Al netto dei tecnicismi di questo accordo, resta un fatto, anzi ‘il’ fatto: l’Europa ha provato a non disgregarsi di fronte agli interessi che solo raramente sono comuni. Sarebbe stato esiziale non trovare – pure obtorto collo – un punto di caduta che non offrisse all’esterno della Ue un’immagine posticcia, di Stati tenuti insieme con il nastro adesivo, anche se è chiaro che i rappresentanti del Nord hanno una visione diversa, a volte opposta, rispetto ai Paesi mediterranei. Ma questo, obiettivamente, non è storia di oggi e nemmeno di ieri o di ieri l’altro.
Dieci ore abbondanti di dibattito per tracciare la road map delle prossime settimane, ringraziando il cielo che l’autunno è caldo come non mai, i termosifoni dormono, le bollette (forse) non diventeranno ingestibili. Tutto quanto è successo tra giovedì e venerdì notte è un pizzino consegnato nelle mani di Putin, che avrebbe sperato in qualche fessurina per inserirsi con i suoi interessi e le sue sinistre strategie. Il commiato di Draghi è stato l’ultimo regalo all’Italia prima di salutare la compagnia. Dalla prossima settimana toccherà a Giorgia Meloni – presumiamo – gestire rapporti e grane, con Antonio Tajani – presumiamo bis – nella veste di ministro degli Esteri e quindi di suggeritore. Come Supermario, anche Tajani conosce bene corridoi e anfratti di Commissione e Parlamento Ue, dove non tutto è sempre come appare.
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