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Quando l’Ue ‘esporta’ la lotta al cambiamento climatico

Molti dicono che è inutile, se non dannoso, per l’Unione europea andare avanti con determinazione nella sua battaglia contro il cambiamento climatico. C’è chi dice che è “inutile, perché tanto il resto del Mondo continua a inquinare, e dunque non serve a nulla” e anche chi sostiene che con strette regole contro le emissioni si favoriranno i Paesi che invece queste regole non le hanno, e che continueranno a produrre a costi più bassi, vendendo poi a prezzi più bassi, il tutto a danno delle imprese dell’Ue. Non è vero. Il 13 dicembre il Parlamento europeo e il Consiglio europeo hanno raggiunto un accordo preliminare su un meccanismo per rendere verdi le importazioni industriali nell’Unione europea. Le aziende importatrici, dovranno pagare una “tariffa sul carbonio alla frontiera”, che sarà commisurata in base alle emissioni di carbonio che sono state necessarie a produrre il bene.
Considerando che l’Unione europea è il più grande e ricco mercato del Mondo, non stiamo parlando di un dettaglio nel commercio globale, ma di un “meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera” (Cbam) dovrebbe allineare il prezzo da pagare per le emissioni di carbonio dei prodotti coperti dal sistema europeo di scambio di quote di emissione (Ets) con quello delle merci importate.
Ecco che il problema della concorrenza distorta viene drasticamente ridimensionato, almeno nei settori interessati: ferro e acciaio, cemento, alluminio, fertilizzanti, elettricità e idrogeno. Contemporaneamente però questo provvedimento darà un grande incentivo ai produttori che esportano verso l’Unione a rivedere il loro sistema industriale in maniera ‘green’, se vorranno continuare a vendere in Europa. È un percorso lento, certo, anche perché questo accordo, una volta formalizzato, entrerà in vigore a ottobre 2023. Ma il percorso c’è.
marika.demaria

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