A photograph shows a flowing wellhead equipment at the Utrenneye field, the resource base for Novatek's Arctic LNG 2 project, located in the Gydan Peninsula on the Kara Sea shore line in the Arctic circle, some 2500 km from Moscow on November 30, 2021. - As part of the The Arctic LNG 2 mega-project gravity-based structures (GBS) a platform is being constructed in Belokamenka near Murmansk. The 450-tonne platform will house liquefied natural gas (LNG) production in the Gydan Peninsula in the western Siberia region of Russia. Once construction is complete, the concrete structures will be flooded. The platform will float up and be towed to the Utrenneye gas field. The construction the structure is part of a new LNG project for Novatek, the largest natural gas producer in Russia. This platform aims to be completed by August 2022. (Photo by Natalia KOLESNIKOVA / AFP)
“Non riesco a tollerare alcuna indecisione dopo quello che abbiamo attraversato”. La posizione di Volodymyr Zelensky, espressa in un discorso davanti al Parlamento irlandese è comprensibile. Sotto le bombe ci sta il suo popolo e dunque è legittimato a dire che “nel momento in cui tutto il mondo è al corrente dei crimini commessi contro il nostro popolo, dobbiamo continuare a convincere imprese europee a lasciare il mercato russo, dobbiamo continuare a convincere uomini politici stranieri a tagliare i legami delle banche russe con il sistema finanziario internazionale, dobbiamo continuare a convincere l’Europa che il petrolio russo non può più finanziare la macchina da guerra russa”. Ha ragione, e non solo dal suo punto di vista.
Noi dell’Unione europea non siamo nella disperazione della sua situazione, e dunque secondo alcuni osservatori ce la stiamo prendendo con calma. Non è vero, o almeno, non è vero per la gran parte degli attori. Se da una parte abbiamo partner come la Polonia, o i baltici, che vorrebbero costruire un muro attorno alla Russia, dall’altra abbiamo governi come quello di Victor Orban che stanno facendo i salti mortali per dimostrare a Mosca la loro amicizia, tentando di boicottare per quanto possibile le sanzioni dell’Unione.
Nel mezzo tutti gli altri, con le esigenze più diverse, dalla Spagna che va alla grande con le energie rinnovabili, ma produce poco, alla Germania, che senza il gas russo fermerebbe la sua possente, ma antiquata industria “locomotiva d’Europa”. Nonostante tutto questo si è già arrivati ad un quarto pacchetto di sanzioni che ha aperto ad un quinto che inizia a toccare il tema delicatissimo dell’energia, tagliando le importazioni di carbone. È poco? Certo, materialmente sì, ma si è toccato il tema che solo poche settimane fa era assolutamente tabù, si è rotto un fronte, che ora si chiama “petrolio” e più in là sarà “gas”.
Lunedì 11 i ministri degli Esteri discuteranno per la prima volta il tema nel dettaglio, con l’obiettivo di superare l’opposizione dell’Ungheria, che tenta di complicare il tutto chiedendo un Consiglio europeo dei capi di Stato e di Governo per deciderlo. La sensazione è che se servirà a sbloccare la questione petrolio il Consiglio sarà concesso, il presidente Charles Michel ha ammesso che “prima o poi” misure dovranno essere prese.
Combattere una guerra senza armi, aiutando per il momento l’Ucraina a respingere l’assalto russo, non è stato poco, e non sarà poco. Per continuare a farlo, però, il sistema produttivo europeo deve essere protetto, perché resti robusto e utile, e questo richiederà tempo: rimediare gli errori del passato non è mai facile.
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