Archeoplastica, un museo virtuale sui rifiuti d’antan finiti sulle spiagge

Nei musei non ci finiscono solo le opere d’arte, ma anche i rifiuti plastici. E vengono esposti non per suscitare la ‘sindrome di Stendhal’, ma per far riflettere le persone su come il genere umano sta riducendo il pianeta. È questa la missione di ‘Archeoplastica’, progetto nato da un’idea di Enzo Suma, classe 1981 di Ostuni (Brindisi), di professioni guida naturalistica. Fondatore di ‘Millenari di Puglia’, dal 2018 è impegnato attivamente nella sensibilizzazione sul tema dell’inquinamento da plastica. “Io personalmente sono un accanito raccoglitore di plastiche spiaggiate – racconta -. È proprio durante queste raccolte che ho avuto l’idea del progetto supportato dai tanti amici che mi hanno seguito in questi anni. Sfruttare i tantissimi rifiuti spiaggiati che hanno anche più di cinquant’anni per portare l’osservatore a riflettere da un’altra prospettiva sul problema dell’inquinamento da plastica nel mare. Un museo virtuale dove osservare tutti i reperti e acquisire informazioni e tante mostre, soprattutto nelle scuole, dove poter vedere dal vivo ciò che il mare ci ha restituito”.

IL PRIMO RIFIUTO TROVATO IN SPIAGGIA RIPORTAVA IL PREZZO IN LIRE

Il primo rifiuto restituito dalle onde, che lo colpì in modo particolare, fu una bomboletta spray di olio abbronzante, che riportava ancora il prezzo in lire. Ricordiamo che l’euro circola ormai da 20 anni. “E infatti questo oggetto probabilmente risaliva agli anni 60-70” racconta Suma. “Gli ho quindi fatto una foto e l’ho pubblicata su Facebook ed ho avuto subito riscontri”. Tante persone che come lui erano rimaste sconvolte di come un rifiuto potesse ancora essere in circolazione a 50 anni dalla sua produzione. “Da quell’episodio ho iniziato a raccogliere sempre di più e a mettere da parte tutti i prodotti vintage di un’età variabile dai trenta ai sessant’anni. Ho imparato a riconoscerli e fino ad oggi ho raccolto oltre 200 reperti databili tra gli anni ’60 e gli anni ’80. Alcuni sono davvero spettacolari e riportano ben in evidenza la scritta in lire oltre ad avere uno stile retrò particolare”. Archeoplastica è così diventato sia un sito internet (che ospita appunto il museo virtuale della plastica), sia una pagina Instagram seguita ora da più di 43mila follower. E Suma specifica che “il progetto ha la sola finalità etica di sensibilizzare sul tema dell’inquinamento dei mari determinato dall’utilizzo della plastica e, nello specifico, dalla scorretta gestione del fine vita della stessa. Non sussiste alcuna volontà da parte di Archeoplastica di accusare e denigrare le aziende produttrici dei prodotti rinvenuti in mare. I marchi citati sono riportati al solo fine di dimostrare la datazione dei rifiuti rinvenuti”.

IL PRIMA E DOPO A CONFRONTO E LA RICOSTRUZIONE IN 3D

L’aspetto interessante è il modo in cui Suma propone questi oggetti: per ognuno viene mostrato lo stato attuale (in molti casi ancora integro anche se scolorito) confrontato con una pubblicità d’epoca del prodotto stesso. In alcuni casi il prodotto viene fatto vedere in una grafica 3D. “Il progetto ha suscitato un interesse crescente – spiega Suma – tanto che alcune persone che mi seguono su Instagram mi hanno spedito materiale da loro ritrovato sulle spiagge in mezza Italia. Altri invece mi chiedono come faccia a trovarne così tanti. Io vivo in una zona di mare, e so bene che in estate è difficile trovarli, perché le spiagge vengono pulite e spesso sono occupate da lettini o ombrelloni. È durante l’inverno, con le mareggiate, che questo tipo di rifiuto viene a galla. A volte può essere rimasto sepolto sotto la sabbia, oppure può essere portato a riva da altre coste. Ci sono infatti studi che evidenziano come tra la Puglia e la Grecia, oppure tra Corsica e Toscana ci siano quelle che gli esperti chiamano ‘zuppa di plastica’, una sorta di piccole isole galleggianti composte da microplastica. E poi, ormai, io sono diventato un esperto in quella che possiamo chiamare ‘rifiutologia’, ho l’occhio allenato”.

MOSTRE FUORI DAI CONFINI PUGLIESI

Ma la raccolta di questi materiali non è, appunto, fine a se stessa. Oltre al museo virtuale, visibile sul sito, sono state organizzate delle mostre in luoghi fisici, come quelle a Bisceglie, Ostuni e nel Tarantino. Senza dimenticare le scuole: Carovigno, San Vito dei Normanni, San Michele Salentino, Cisternino, Mesagne, solo per citarne alcune. “Presto saremo anche in altre province pugliesi – spiega Suma -, ma il progetto sente già il desiderio di viaggiare oltre i confini regionali”. Considerata tanta esperienza, e per essere un po’ rincuorati, viene da chiedere se in tutti questi anni ha notato se i rifiuti spiaggiati sono aumentati o diminuiti rispetto a quando ha iniziato la sua raccolta. “E’ difficile dirlo – spiega – sicuramente la plastica usa e getta negli ultimi anni è aumentata tanto, ma per fortuna è cresciuta anche la sensibilità delle persone. Quindi tra iniziative collettive e azioni in prima persona, in molti raccolgono i rifiuti in spiaggia e dunque, forse, se ne trovano meno”.

IL MISTERO DELLA STATUETTA A FORMA DI ‘GOBBO’

Ma ci sarà stato un oggetto che più di altri ha incuriosito il fondatore di ‘Archeoplastica’ in tutti questi anni di ricerche e scoperte. Certo, e riguarda un mistero solo recentemente risolto, grazie all’intervento di una ragazza dal Piemonte. Si tratta di una statuetta in plastica, ça va sans dire, raffigurante una persona con la gobba. “E’ un omino vestito in frac – spiega Suma – come il pupazzo che troviamo sui cornetti portafortuna napoletani. Quando l’ho trovato non c’era nessuna scritta e nessun marchio che aiutasse a capire cosa fosse. Poteva essere un flacone contenente un liquido, un bagnoschiuma forse. Attraverso alcuni post su Facebook ho coinvolto parecchie persone nella ricerca. Dopo oltre un anno è arrivata una prima risposta. Un’amica si è accorta su Instagram di un post di un collezionista francese che vendeva un gobbo di plastica identico, di colore rosso, datandolo al 1960 e classificandolo come ‘Soaky Bubble’, cioè dei bagnoschiuma molto diffusi negli anni ’60 che potevano essere poi usati come giocattoli una volta utilizzati”. Il mistero, dunque, pareva risolto. “E invece – prosegue Suma – dopo un servizio del Tg1 sul progetto ‘Archeoplastica’, una ragazza piemontese ha riconosciuto in tv quello strano personaggio perché a casa ne ha uno identico, ma di colore giallo. Fu vinto dalla madre a una festa di paese negli anni ’60. E probabilmente era un contenitore che una volta vuoto poteva diventare un salvadanaio, un oggetto portafortuna come la gobba poteva lasciare intendere”.

Nadia Bisson

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