Quanto dovrebbero contribuire Italia, Stati Uniti e Cina per allinearsi al nuovo obiettivo finanziario globale negoziato a Baku nell’ipotesi che lo stesso obiettivo si attesti tra i 1000 e i 1300 miliardi di dollari all’anno come proposto nei giorni scorsi?
Lo calcola, a due giorni dalla chiusura prevista della COP29, i risultati di uno studio condotto da Italian Climate Network. Lo studio, condotto da Claudia Concaro e Anna Pelicci, prende in considerazione non solo le emissioni storiche dei tre Paesi, ma anche la loro capacità contributiva stimata secondo un aggiustamento per il reddito nazionale lordo pro capite.
Nell’analisi sono illustrate due opzioni rispetto al calcolo generale: la prima, per la quale tutti i Paesi contribuiscono secondo lo “spirito di Parigi” e quindi in allargamento dell’attuale platea dei donatori; la seconda, per la quale solo i Paesi Annex II identificati ai tempi della Convenzione di Rio del 1992 continuano a contribuire secondo obbligatorietà.
Secondo i dati dello studio, Roma dovrebbe passare dagli attuali contributi sotto il Fondo Italiano per il Clima, sommati a quanto promesso una tantum per il nuovo Fondo per Perdite e Danni e altre misure minori annunciate negli ultimi anni, a mobilitare in finanza climatica tra i 14,5 e i 22,6 miliardi di dollari trasversalmente ai vari scenari analizzati. In ogni caso, oltre 20 volte gli attuali contributi.
Gli Stati Uniti, complici le loro emissioni storiche, dovrebbero invece porsi come primo donatore globale, investendo in finanza internazionale per il clima oltre 500 miliardi di dollari all’anno. In pratica, una somma pari a quella dell’intero Inflaction Reduction Act da investire ogni anno in cooperazione climatica internazionale. Cifre oggettivamente lontane da quanto ascoltato e visto negli ultimi tre decenni di negoziati. E infine la Cina, oggi primo Paese per emissioni climalteranti al mondo, secondo il criterio oggettivo della contribuzione storica si troverebbe a dover contribuire in maniera molto minore, tra i 54 e i 70 miliardi di dollari all’anno.
I dati dimostrano che una nuova uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi potrebbe compromettere in partenza qualsiasi nuovo obiettivo. Nessuno sforzo concertato tra gli altri Paesi del mondo, neanche integrando la Cina tra i contributori obbligati, potrebbe infatti riempire il gap lasciato da Washington.
“Questi dati dimostrano che, fuor di retorica, siamo ancora estremamente lontani da una vera cooperazione internazionale finanziaria basata sulle responsabilità emissive storiche, e che la possibile nuova uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi rischia di compromettere irrimediabilmente l’ambizione del nuovo obiettivo finanziario negoziato in queste ore a Baku, salvo l’emergere nel Paese di un nuovo movimento We Are Still In guidato da privati ed enti locali“, spiega Jacopo Bencini, Presidente di Italian Climate Network. “Questo studio permette, inoltre, di rimettere in prospettiva lo scontro diplomatico in corso sull’allargamento della platea dei contribuenti alla Cina e ad altre economie emergenti, lasciando intravedere – osserva l’analista -, allo stesso tempo, ottimi spiragli per Pechino di assumere leadership a basso costo anche sul dossier finanziario, complice il ritiro occidentale”.
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