Snow and mountains and sky. View from Mt. Marmolada to Passo Pordoi and Sasso Lungo
L’estate appena conclusa porta con sè un nuovo record sul fronte ambientale, quello di frane in alta quota sulle Alpi, il cui numero è stato il più alto negli ultimi 20 anni. È quanto emerge dai dati dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpi), facenti riferimento al periodo 2000-2022.
Sopra i 1500 metri, si legge nel rapporto, si sono verificati 57 eventi franosi, che vanno dai crolli di roccia e di ghiaccio, allo svuotamento di laghi glaciali fino alle colate detritico-torrentizie. Dai dati è evidente una tendenza all’aumento con il passare del tempo, che – però – non può ancora essere trattata statisticamente a causa del numero esiguo di anni a disposizione (per questo tipo di indagini sono necessari almeno trent’anni). Inoltre, spiega il Cnr “non è da escludere che la crescente attenzione dedicata dai media a questo tipo di fenomeni abbia determinato un parallelo aumento dei casi censiti“.
Nel dettaglio le colate detritico-torrentizie (37 casi, pari al 65% del totale) e i crolli di roccia (15 casi, pari al 26% del totale) sono stati gli eventi più frequenti in estate. Di tutti questi casi, 8 sono avvenuti durante il mese di giugno, 23 a luglio e 26 ad agosto. Tra le regioni maggiormente colpite vi sono la Valle d’Aosta (19 casi, pari al 33% del totale), il Trentino-Alto Adige (16 casi, pari al 28% del totale), la Lombardia (11 casi, pari al 19% del totale) e il Veneto (8 casi, pari al 14% del totale); chiudono la classifica il Piemonte con due casi e il Friuli-Venezia Giulia con un caso.
Ma a cosa sono dovute queste frane? Le cause di questo record, spiega il Cnr, “sono da ricercarsi nel disequilibrio di questi ambienti rispetto a un clima in rapido cambiamento“. Le elevate temperature minime e massime giornaliere, la permanenza a quote elevate e per diversi giorni consecutivi dello zero termico, la maggior frequenza di eventi pluviometrici brevi ed intensi (pioggia e grandine) a quote sempre più elevate, lo scarso apporto di precipitazioni nevose invernali e primaverili “sono fra le principali cause di questo disequilibrio“. Ad esempio, “i valori delle temperature dell’estate appena terminata, osservati sull’arco alpino italiano, sono stati significativamente più elevati rispetto a quelli medi del trentennio di riferimento 1991-2020: i settori occidentale, centrale e orientale alpino sono risultati più caldi rispettivamente di oltre 2,6 °C, 1,8 °C e di 2,2 °C (fonte Cnr-Isac)“.
Sulle Alpi, questo disequilibrio si manifesta in maniera chiara attraverso la drastica riduzione delle masse glaciali, con l’irreversibile degradazione del permafrost e l’aumento di masse di detriti.
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