Nell’ultimo anno in Italia sono stati consumati 21 ettari di suolo al giorno, il valore più alto degli ultimi 11 anni. Per rimpiazzare ciò che il terreno forniva naturalmente (come la regolazione del microclima e del regime idrogeologico, la produzione agricola o lo stoccaggio di CO2) abbiamo speso circa 20 miliardi dal 2006. Da oggi ci costerà 9 miliardi l’anno.
Perdiamo una risorsa fragile e limitata, fondamentale in un Paese caratterizzato da forte dissesto idrogeologico. E la perdiamo a ritmi mai visti in tempi recenti: secondo l’ultimo rapporto Ispra e Snpa sul consumo di suolo, nel 2022 sono stati consumati 76,8 km2, il 10,2% in più rispetto al 2021.
Quando si parla di consumo, si intende la perdita parziale o irreversibile di questa risorsa, dovuta principalmente all’occupazione di superfici in origine agricole, naturali o seminaturali: si tratta quindi, per la maggior parte, di coperture artificiali, dovute alla costruzione di nuovi edifici e infrastrutture.
Ma la causa non è soltanto il cemento portato dall’espansione delle città: tra le motivazioni ci sono anche le coltivazioni che degradano il terreno agricolo da un punto di vista fisico, chimico e biologico giocando un ruolo importante nel deterioramento del suolo, così come gli scavi di cave e miniere.
I problemi che ne conseguono sono diversi.
Quello più dannoso è l’impermeabilizzazione: l’acqua non viene assorbita ma resta invece in superficie, e, accumulandosi, rende particolarmente grave una caduta intensa di piogge. L’alluvione in Emilia Romagna, terza regione per consumo di suolo, è il caso più emblematico.
Un altro pericolo, forse più nascosto, è legato all’utilizzo di aree naturali e agricole per la costruzione di unità abitative. In un contesto di crescita demografica in negativo da decenni, molte case resteranno, con ogni probabilità, vuote, trasformandosi presto in ruderi.
Questa mappa interattiva, elaborata da GEA sui dati di Ispra e Snpa, nella prima visualizzazione mostra le aree che, in percentuale, soffrono in maggior misura di questo problema. La seconda, invece, evidenzia i comuni che dal 2006 (anno in cui è iniziato il monitoraggio) a oggi hanno aumentato, sempre in percentuale, il suolo consumato. È possibile digitare il nome del proprio comune.
La prima mappa mostra la distribuzione dell’urbanistica italiana. “In 15 regioni il suolo consumato stimato al 2022 supera il 5%” si legge infatti nel rapporto, “con i valori percentuali più elevati in Lombardia (12,16%), Veneto (11,88%) e Campania (10,52%). La Lombardia detiene il primato anche in termini assoluti, con oltre 290mila ettari di territorio artificializzati (il 13,5% del suolo consumato in Italia è in questa regione)”.
In termini di incremento percentuale, ovvero la seconda visualizzazione, i valori più elevati sono quelli di Puglia, Sardegna e Sicilia.
Le cause sono difficili da ricollegare a un singolo fattore, in quanto sono spesso legate a motivazioni specifiche e locali.
Volendo però cercare qualche elemento di sintesi, in Puglia, molti comuni hanno avuto un incremento prevalentemente legato all’edilizia e allo sviluppo turistico, ma anche alla realizzazione impianti fotovoltaici a terra di tipo tradizionale realizzati su aree agricole.
Al Nord, invece, la crescita più elevata si evidenzia, in particolare, nei comuni dove maggiore è stato l’impatto di nuove infrastrutture (per esempio la Brebemi o la Pedemonontana) o di nuovi poli legati alla logistica (spesso a loro volta collocati lungo i principali assi infrastrutturali).
In ogni caso, la scelta di analizzare l’incremento percentuale evidenzia in maniera particolare le trasformazioni dei piccoli comuni: è il caso, per esempio, di San Floro, in provincia di Catanzaro, che dal 2006 a oggi ha aumentato del 96,33% il proprio suolo consumato, a causa di un’ampia zona agricola destinata a impianti fotovoltaici, e dell’apertura di una nuova area estrattiva.
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