Come godere della natura incontaminata senza danneggiarla? Nell’Artico, un arcipelago norvegese sta cercando di giocare la carta del turismo sostenibile, un approccio tanto attraente quanto complesso da attuare. Le isole Svalbard, a 1.300 chilometri dal Polo Nord, sono un’avventura polare a portata di volo: una natura selvaggia mozzafiato, orsi polari, il sole di mezzanotte o l’aurora boreale, a seconda della stagione. Ma la regione, che si sta riscaldando tre volte più velocemente del resto del pianeta, è anche una preoccupante vetrina del cambiamento climatico.
Nel corso degli anni, le miniere di carbone, storica ragion d’essere della presenza umana a queste latitudini, sono state quasi tutte chiuse e il turismo è diventato, insieme alla ricerca scientifica, uno dei principali pilastri e datori di lavoro dell’economia locale. “È sempre difficile da difendere perché sappiamo che il turismo solleva sfide in tutti i luoghi visitati, ma anche dal punto di vista climatico“, ammette Ronny Brunvoll, direttore di Visit Svalbard, l’associazione dei professionisti del turismo. “Ma non si può impedire alle persone di viaggiare, di visitarsi, quindi bisogna trovare delle soluzioni“, aggiunge.
Sull’arcipelago, dove il 65% del territorio è protetto, i circa 140.000 visitatori annuali (dati pre-Covid) devono, come i 3.000 abitanti, attenersi a regole ferree: non si può disturbare la fauna selvatica – inseguire un orso polare è punibile con una pesante multa – o raccogliere fiori su queste terre dove la vegetazione è scarsa. L’olio combustibile pesante, comunemente utilizzato dalle grandi navi da crociera, è altamente inquinante ed è stato bandito dalle acque dell’arcipelago dall’inizio dell’anno, prima del progressivo divieto in tutto l’Artico a partire dal 2024.
In un settore turistico orientato a una clientela piuttosto esclusiva, alcuni operatori anticipano o vanno oltre le normative, come Hurtigruten, che si è posto l’ambizione di essere “il tour operator più ecologico del mondo“. La sostenibilità “non dovrebbe essere un vantaggio competitivo“, afferma un dirigente del gruppo, Henrik Lund. “Dovrebbe essere solo un biglietto d’ingresso per poter operare”, spiega. Avendo bandito la plastica monouso dal 2018, il tour operator offre ora gite in motoslitta elettrica e, recentemente, escursioni in mare a bordo di una piccola e innovativa imbarcazione ibrida diesel-elettrica, il Kvitbjørn (‘orso bianco’ in norvegese). “Nei siti di esplorazione idilliaci, diventiamo completamente elettrici, silenziosi e non emettiamo fumi di combustione“, si vanta Johan Inden, presidente della divisione marittima del produttore di motori Volvo Penta. Tuttavia, c’è un aspetto negativo: alle Svalbard l’elettricità proviene ancora da una centrale a carbone, una fonte di combustibile fossile che contribuisce al riscaldamento globale. “L’elettrificazione ha senso qualunque sia la fonte di energia“, rassicura Christian Eriksen, funzionario della ONG ambientalista norvegese Bellona. Che provenga da fonti ‘sporche‘ o ‘pulite‘, l’energia elettrica “ci permette di ridurre comunque le emissioni“, sottolinea, citando uno studio sulle auto elettriche che conclude in questo senso. Ma “questa riduzione sarà significativamente maggiore quando la centrale a carbone sarà sostituita“.
Longyearbyen vuole chiudere la sua inquinante centrale elettrica entro l’autunno del 2023, puntare sulle energie rinnovabili e ridurre le emissioni dell’80% entro il 2030. Ma “possiamo fare quello che possiamo a livello locale, anche per quanto riguarda le emissioni delle motoslitte e delle automobili, ma dobbiamo riconoscere che il vero grande problema è il trasporto da e verso le Svalbard, sia per il turismo che per noi locali che viviamo qui“, dice Brunvoll. “A Longyearbyen – conclude – abbiamo un’impronta climatica pro capite pazzesca”.
(Photo by JONATHAN NACKSTRAND / AFP)
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