Tra una settimana negli Emirati Arabi Uniti si apre la COP28 che si prevede avrà un’affluenza senza precedenti, con due grandi battaglie in programma attorno alla finanza e ai combustibili fossili, il cui utilizzo massiccio sta spingendo l’umanità verso nuovi precipizi climatici. Papa Francesco e re Carlo III sono attesi a Dubai tra una folla di capi di Stato, ministri, rappresentanti di ong, industriali, lobbisti, giornalisti…: sono previsti dal 30 novembre al 12 dicembre oltre 70mila visitatori accreditati, una cifra senza precedenti per il grande incontro della comunità internazionale riunita a discutere di clima sotto l’egida dell’Onu.
La conferenza verrà lanciata con una cerimonia di apertura il 30 novembre, seguita da due giorni di vertice durante i quali interverranno quasi 140 capi di Stato e di governo, preludio a una decina di giorni di negoziati. La data di fine della Cop resta teorica perché ritardi di uno o due giorni sono all’ordine del giorno. I colloqui, in un contesto di tensioni internazionali, si svolgono nell’emirato del petrolio e del gas di Dubai, una provocazione per alcuni difensori ambientali ma un’opportunità per parlare finalmente concretamente di combustibili fossili, secondo altri osservatori. Il presidente della COP28, Sultan Al Jaber, capo anche della compagnia petrolifera emiratina Adnoc, incarna queste contraddizioni. “Le persone che mi accusano di conflitto di interessi non conoscono il mio passato”, aveva risposto all’AFP a luglio, ricordando di essere stato il primo capo nel 2006 di Masdar, che da allora è diventata un colosso delle energie rinnovabili.
Una dei momenti più attese della COP28 sarà fare il punto sull’accordo sul clima di Parigi del 2015. Un rapporto tecnico pubblicato all’inizio di settembre, senza alcuna sorpresa, ha constatato un’azione molto insufficiente e ha messo sul tavolo la questione dei combustibili fossili. Spetta ai quasi 200 paesi adottare una decisione traendo insegnamento da questa valutazione tecnica, con decine di paesi che vorrebbero includere un appello esplicito per la riduzione dei combustibili fossili, qualcosa che nessuna COP è mai riuscita a realizzare. La recente dichiarazione congiunta di Washington e Pechino sembra indicare un movimento della Cina nella direzione di una valutazione ambiziosa, focalizzata sugli sforzi da compiere: resta da vedere cosa faranno l’India e gli altri Paesi in via di sviluppo.
Le aspettative sono immense poiché si prevede che il mondo vivrà l’anno più caldo mai registrato nel 2023, un evento che alimenterà siccità, incendi, inondazioni e altri disastri. E gli attuali impegni dei paesi pongono il mondo su una pericolosa traiettoria di riscaldamento compresa tra 2,5° e 2,9° C nel corso del secolo, secondo i calcoli delle Nazioni Unite appena resi pubblici. Un altro rapporto delle Nazioni Unite, di metà novembre, conclude che gli attuali impegni nazionali portano a una riduzione delle emissioni del 2% tra il 2019 e il 2030, invece del 43% raccomandato per limitare il riscaldamento a 1,5°C rispetto al periodo pre-industriale. Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha esortato i leader a “raddoppiare gli sforzi in modo drammatico, con ambizioni record, azioni record e riduzioni record delle emissioni”.
Un certo numero di questioni spinose verranno quindi affrontate nello sfarzoso scenario dell’emirato, in un contesto di divisioni internazionali sull’Ucraina e sulla guerra tra Israele e Hamas. Sui combustibili fossili, principali responsabili del cambiamento climatico, il carbone è stato menzionato per la prima volta solo nel 2021 alla COP26 di Glasgow. Quest’anno il tema sarà centrale ma le sfumature saranno importanti, ad esempio su un possibile programma di uscita o sullo spazio lasciato alle controverse tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio. Punto importante: le ong chiedono impegni sui fossili in una “decisione formale” della COP, quindi un testo vincolante sotto l’egida dell’Onu.
Altro argomento esplosivo: la creazione di un fondo per ‘perdite e danni’ climatici nei paesi vulnerabili, la cui creazione è stata finalmente approvata alla COP27 lo scorso anno in Egitto, a seguito delle forti tensioni nord-sud. All’inizio di novembre è stato trovato un fragile compromesso per collocare temporaneamente il fondo presso la Banca Mondiale. Ma a Dubai dovranno ancora essere risolte questioni cruciali: quanti soldi, chi li metterà a disposizione, chi ne trarrà beneficio…? Domande che rischiano di allargare le divisioni, mentre il mondo è diviso anche sulla situazione geopolitica.
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