Il Blue Deal proposto dal Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) può essere una straordinaria opportunità per le imprese. Lo sostiene Pietro De Lotto, consigliere del Cese e a partire da ottobre presidente della sezione Ten (Trasporti, energia, infrastrutture e società dell’informazione) del Comitato, in un’intervista a GEA, aggiungendo che la Commissione non si può limitare a trattare il tema come una sola questione ambientale.
Consigliere De Lotto, come ritiene vada trattato il tema dell’acqua?
“Per il Cese il Blue Deal è stato un risultato eclatante, anche se siamo all’inizio di una maratona. Per noi il tema dell’acqua, che sappiamo tutti essere argomento del futuro, non va affrontato in un modo penalizzante e negativo, come per esempio è percepito oggi il Green Deal. Serve una politica orizzontale, che tocchi tutti gli aspetti: a partire dalla promozione delle prassi e delle tecnologie che hanno lo scopo di salvaguardare una risorsa scarsa e non sostituibile. Questo significa anche promuovere una filiera industriale europea, quella delle clean technologies, di cui siamo leader del mondo”.
Come ritiene si stia muovendo la Commissione?
“La Commissione sta facendo un ottimo lavoro sul tema della qualità dell’acqua, ma non ha competenze su quello della quantità, che da trattato è competenza degli Stati membri. Un mese dopo il nostro appello, la presidente von der Leyen ha lanciato la Water Resilience Strategy. Inoltre per la prima volta, come abbiamo chiesto insieme al Parlamento europeo e al Comitato delle Regioni, abbiamo una commissaria per l’acqua (la svedese Jessika Roswall, ndr)”.
Cosa invece continuate a chiedere?
“La grande carenza è che l’acqua viene vista da un punto di vista squisitamente ambientale. Capisco che la Commissione ce l’abbia come perno, ma non è sufficiente. È infatti solo una delle questioni: abbiamo 10 milioni di europei che non hanno accesso all’acqua pulita, quindi c’è un tema di infrastrutture, di governance e di planning. Per questo motivo abbiamo lanciato l’idea di avere un ‘Blue transition fund’: uno strumento attorno a cui mobilitare capitali privati e pubblici. Ad oggi infatti non esiste un singolo entry point per conoscere quanti investimenti vengono fatti con fondi europei sul tema della risorsa idrica. Abbiamo poi chiesto a tutti i Paesi di avere una strategia nazionale di medio-lungo termine per l’acqua, ma sono pochissimi i Paesi che ce l’hanno non parcellizzata tra i vari aspetti. Altrettanto pochi sono quelli che hanno un vero coordinamento tra le varie autorità del settore”.
Qual è il vostro obiettivo principale?
“L’attuale situazione può essere una straordinaria opportunità di opportunità per le imprese. Abbiamo bisogno di un approccio positivo che possa convincere il mondo dell’agricoltura (che consuma circa il 60% dell’acqua in Europa) e dell’industria (circa il 30%). Noi non intendiamo perdere nessun singolo agricoltore e non vogliamo assistere a nessun tipo di delocalizzazione, perché un approccio penalizzante su questo tema potrebbe spingere le imprese a spostarsi verso zone in cui la risorsa è più disponibile. Si tratta anche una questione di autonomia strategica”.
Quali sono i Paesi più a rischio?
I Paesi coinvolti non sono più solo quelli del Mediterraneo. Il tema dell’acqua è sentito in modo crescente in Polonia, in larghe parti della Francia, in Olanda, in Ungheria, addirittura in Austria. Tuttavia esso non è legato alla siccità o alla scarsità. Serve un approccio strutturale, non caratterizzato dall’emergenza”.
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