Chi dice che con la transizione ecologica non si può fare business? La sostenibilità non è più un concetto astratto, ma una parola chiave per intercettare opportunità e innovare. In Italia migliaia di imprese si sono già messe in carreggiata e le più lungimiranti hanno aperto la porta alle professioni green, allestendo uffici se non veri e propri dipartimenti. E non si tratta ‘solo’ di redigere l’ormai noto bilancio di sostenibilità, ma di sfruttare le nuove competenze per affacciarsi sui mercati esteri con maggior dinamismo. Lo spiega bene una ricerca Censis commissionata da Assosomm (Associazione italiana delle Agenzie per il lavoro), secondo cui pandemia da Covid e guerra in Ucraina hanno prodotto reazioni nel mercato del lavoro. “L’innovazione nel settore dell’energia sta conoscendo un’accelerazione forzata e senza precedenti al punto che molti colli di bottiglia, burocratici ed economici, che prima la frenavano, stanno saltando”, spiega lo studio. Ecco allora che “per una generazione di aspiranti lavoratori” nei prossimi 3-4 si aprirà “uno scenario che potrebbe offrire oltre 150.000 nuovi posti”.
Secondo la rilevazione Censis-Assosomm, nei vari settori delle energie rinnovabili le figure più richieste sono (e saranno) quelle tecniche e gestionali. Si va dall’installatore di sistemi fotovoltaici al collaudatore di macchinari a basso impatto ambientale (elettricisti-idraulici specializzati, meccanici e periti elettronici, geometri ambientali), passando per l’assicuratore ambientale e il manager per le energie rinnovabili fino ai professionisti laureati in geochimica, informatica e programmazione energetica. Anche le Agenzie per il Lavoro farebbero la propria parte. “Potrebbero rappresentare, in questo scenario, un valido partner per le aziende in cerca di questi professionisti – spiega Assosomm – proprio perché da una parte avrebbero già lavoratori da subito disponibili, dall’altra potrebbero creare percorsi di formazione ad hoc”.
Più in generale, le professioni green sono già una realtà. Fondazione Symbola e Unioncamere, nell’ultimo report GreenItaly, spiegano che “sono oltre 441mila le aziende che nel quinquennio 2016-2020 hanno deciso di investire in tecnologie e prodotti green”: il 31,9% delle imprese nell’industria e nei servizi e il 36,3% nella manifattura. Le ragioni sono proprio legate al business: nel manifatturiero la quota di imprese eco-investitrici che esportano è del 31% nel 2021, contro il 20% di quelle che non hanno investito. Nel 2020 i ‘lavoratori green’ erano almeno 3,14 milioni, di cui 1 milione al Nord-Ovest (33,8% del totale nazionale), 740mila nel Nord-Est (23,6%), 671mila al Centro (21,4%) e le restanti 668mila unità al Sud (21,3%). Ma sono quote destinate a crescere sensibilmente. Da qui al 2025, Fondazione Symbola-Unioncamere prevedono che il 38% del fabbisogno di professioni richiederà competenze green con importanza elevata (circa 1,3-1,4 milioni di occupati).
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