“I maggiori 60 gruppi bancari hanno fornito 5.500 miliardi di dollari all’industria dei combustibili fossili negli ultimi sette anni. Ecco, il prossimo parlamento europeo e la prossima Commissione dovranno spingere il mondo finanziario ad avviare percorsi vincolanti per chi si voglia dichiarare net zero”. Anna Fasano, presidente di Banca Etica, ha le idee chiare per queste elezioni, soprattutto sul lavoro che dovranno portare avanti gli eletti nei prossimi cinque anni. Intanto “gli investimenti in armi non possono essere dichiarati sostenibili”, per cui servirà “più trasparenza sul ruolo delle banche nel commercio di armamenti. Negli auspici del Green New Deal ci sono impegni che poi vengono puntualmente traditi. Si parte con buone intenzioni ma quando poi si tratta di legiferare, le dinamiche delle politiche e delle lobby vincono. Stiamo vivendo la stessa dinamica sulla tassonomia sociale, dove continua a soffiare il vento speculativo sugli armamenti… si vuole inserirli addirittura tra gli investimenti sostenibili”.
Presidente Fasano, la guerra alle porte dell’Europa ha cambiato il panorama del business legato alla Difesa, con una corsa agli investimenti record. Voi invece cosa chiedete?
“La finanza etica, da sempre, esclude categoricamente qualsiasi finanziamento o investimento nell’industria bellica. Non chiediamo che tutto il sistema finanziario adotti questa regola, ma chiediamo che gli investimenti in armi siano esclusi da qualsiasi definizione di finanza sostenibile, contrariamente a quanto affermato di recente dai ministri della difesa dell’Unione. In Italia, ad esempio, il governo ha deciso di smantellare la legge 185 del 1990 che regolamenta l’export di armi italiane nel mondo: se le modifiche saranno approvate i cittadini e il Parlamento non avranno più accesso alle informazioni sulle esportazioni di armi e su quali banche finanziano con profitto tali operazioni”.
La Ue cosa può fare in questo senso?
“Chiediamo al prossimo Parlamento Europeo di varare una norma comunitaria che imponga alle banche e alle istituzioni finanziarie trasparenza sui loro affari con il commercio di armamenti. I cittadini e i risparmiatori così come le istituzioni devono sapere se la propria banca utilizza il loro denaro per finanziare commerci di armi non sempre trasparenti”.
A proposito di trasparenza, uno dei buchi neri della Ue è che ci sono Stati con un fisco particolare, che talvolta genera un disequilibrio concorrenziale, no?
“Anche una seria azione di contrasto ai paradisi fiscali andrebbe nella direzione di limitare le operazioni finanziarie meno chiare a supporto delle forniture di armi, oltre a reperire risorse per le politiche pubbliche più urgenti di cui l’Unione ha bisogno”.
Fra le urgenze maggiori ci sono i fondi da reperire per la transizione energetica. Come fare?
“Il ruolo della finanza nell’indirizzare l’economia verso modelli e soluzioni a basse emissioni ambientali è ormai riconosciuto da tutti. L’Ue ha già fatto molto in questo campo: gli sforzi si sono purtroppo diluiti nel corso dei lavori e perfino gli investimenti sul gas e sull’energia nucleare vengono ormai qualificati come sostenibili. Molti studi hanno messo in luce dilaganti fenomeni di greenwashing da parte di istituzioni finanziarie che a parole dichiarano impegni verso la sostenibilità, ma continuano a finanziare massicciamente le fonti fossili. II maggiori 60 gruppi bancari – spesso gli stessi in prima fila nel magnificare la propria ‘sostenibilità’ – hanno fornito cinquemila cinquecento miliardi di dollari all’industria dei combustibili fossili negli ultimi sette anni”.
La Ue dovrebbe allora introdurre regole più stringenti contro il greenwashing soprattutto nel mondo dei risparmio? In che direzione?
“Intanto vanno rendicontati gli impatti negativi. Oggi i fondi sostenibili, ai sensi della normativa europea devono giustamente riportare l’elenco dei principali impatti negativi (Principal Adverse Impacts); i fondi che non si dichiarano sostenibili invece non devono rendicontare nulla. È necessario imporre che ogni prodotto finanziario fornisca anche informazioni sui propri impatti negativi”.
Un altro provvedimento che chiede?
“Criteri vincolanti per chi si voglia dichiarare ‘net zero’. Negli ultimi anni sono proliferate iniziative volontarie di banche e imprese che dichiarano di voler azzerare le proprie emissioni, ma spesso queste si sono tradotte in un fallimento a causa di diversi ‘trucchi’, come quello di misurare solo le emissioni dirette delle banche”.
Sta dicendo che i risparmiatori attualmente non sono tutelati?
“Ora il risparmiatore pensa di investire nel green invece rimane tradito. I soldi ci sono, ma bisogna che la politica fissi le regole per stabilire dove veicolarli e quali soggetti privilegiare. La finanza detta le regole sugli investimenti, ecco… l’obiettivo è rovesciare questa piramide, così supportiamo le imprese che vogliono fare una transizione vera. Tocca alla politica”.
Parole forti contro suoi “colleghi”…
“Vogliamo stimolarli… Ai grandi Ad interessa poco di quello che succede fra 5 anni… Un tema centrale da affrontare per la prossima Commissione europea sarà quello di definire criteri stringenti e trasparenti, con obiettivi e tappe verificabili, per chi voglia intraprendere un percorso verso le zero emissioni nette. Emerge un forte bisogno di un quadro normativo vincolante per affrontare il greenwashing in tutte le sue forme. Non è possibile continuare ad assistere inerti al proliferare di iniziative arbitrarie in cui l’obiettivo centrale sembra essere solo quello di proteggere la reputazione delle banche e delle imprese, non certo del pianeta”.
Regole chiare, dunque…
“Adesso in Europa ci sono molti regolamenti, ma regole non chiare. Sulle case green o sulle auto elettriche i termini sono definiti, per le società e la finanza invece no. Ma non rassegniamoci, bisogna mettere al centro la democrazia economica per reindirizzare le risorse verso imprese e lavoratori”.
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