Se il governo si impegna a non abbandonare l’Ex Ilva, i privati non si tirano indietro. Dopo il no di ArcelorMittal alle proposte dell’esecutivo per rilanciare gli stabilimenti dell’acciaieria (una ricapitalizzazione e un aumento della presenza pubblica fino al 66%), il futuro di 20mila famiglie è più in bilico di prima. Ieri il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha garantito che il Governo è “fermamente” in campo: “Riprenderemo in mano la situazione dopo i disastri che sono stati realizzati dai governi precedenti, per fare di quel sito il più grande sito siderurgico green d’Europa. Noi siamo convinti di riuscirci”, ha scandito.
Anche i privati si dicono pronti a fare la loro parte, ma “solo a determinate condizioni“, avverte il presidente di Federacciai e ceo di Duferco, Antonio Gozzi. Parla di una “operazione verità” sui conti, sui patti con Mittal e sullo stato dei macchinari. E, soprattutto, di “certezza su piano finanziario e industriale“. Per i privati, il ruolo dello Stato come socio di maggioranza può essere transitorio (“non si può pensare di tornare ai tempi della Finsider“, scandisce il manager). Ma, per scendere in campo, servono risposte.
Il disimpegno di ArcelorMittal era “ampiamente annunciato e prevedibile“, osserva Gozzi. E ricorda che negli anni l’azienda ha deconsolidato Ilva, creato una struttura commerciale parallela, non sostenuto da soci di maggioranza un’azienda che aveva bisogno di liquidità, “costringendo il management a fare i salti mortali nell’approvvigionamento di materie prime, determinando di fatto accensioni e spegnimenti degli altiforni a seconda dei momenti“. E ironicamente ringrazia le “scelte scellerate del passato“. A partire da quella del governo Conte, con “patti parasociali mai del tutto chiariti, nei quali al socio privato è stato riconosciuto il diritto di governare anche se va in minoranza, con annesse clausole di indennizzi, sulle quali infatti ora Mittal fa leva minacciando azioni legali”.
Gli inquilini del ministero dello Sviluppo economico del passato salgono sul ring. Da due giorni, è in atto uno scambio social al vetriolo tra Carlo Calenda e Stefano Patuanelli: “Sui media ci chiamano incompetenti grillini, a luci spente il contrario. Due facce, entrambe di bronzo“, lamenta Patuanelli. “Non ho mai visto un 5 Stelle assumersi una responsabilità e non credo inizierete ora“, risponde Calenda, continuando a chiedere i contenuti dei “patti parasociali” siglati tra Mittal e Invitalia nella società che insieme hanno costituito mentre il pentastellato era ministro: “Ci interessa sapere in particolare obblighi finanziari e limiti all’azione del socio pubblico“. La polemica non si placa: “Il duro di comprendonio Calenda e il Centrodestra tutto continuano a non voler vedere che l’interesse di ArcelorMittal sul futuro di Taranto è sempre stato insistente”, scrivono in una nota i parlamentari M5s delle commissioni Industria del Senato e Attività Produttive della Camera. E, da parte sua, Patuanelli torna a ribadire che “non esiste nessun accordo segreto o secretato in parte” dei governi di cui ha fatto parte con Mittal.
Il leader ecologista Angelo Bonelli riporta l’attenzione sull’ambiente e giudica “inaccettabile” non parlare del “disastro sanitario e ambientale di Taranto”, e “inammissibile” ignorare le responsabilità nelle politiche industriali. E’ invece la magistratura a puntare la lente sulla questione ambientale e aprire un‘inchiesta. Come riporta la Gazzetta del Mezzogiorno, i carabinieri del Nucleo operativo ed ecologico di Lecce tornano negli uffici e nelle sedi dell’acciaieria di Taranto per dare sequestrare i documenti relativi alle emissioni, in particolare in zona cokeria e rispetto al benzene, su ordine dei pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Francesco Ciardo.
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