Grande entusiasmo lo scorso fine settimana, dopo che la Russia aveva firmato insieme all’Ucraina l’accordo per sbloccare le esportazioni di grano. Sono passate 72 ore e Mosca è tornata a far paura. Almeno sul fronte gas. Per settimane Gazprom ha giocato al gatto col topo congelando, riaprendo, rallentando l’attività del North Stream 1, il gasdotto che porta l’energia attraverso il Baltico in Germania e quindi in Europa. Adesso gli uomini vicini a Vladimir Putin ricominciano col balletto: flussi ridotti pare del 20% verso il Vecchio Continente, poiché il Cremlino torna alla carica perchè vorrebbe meno sanzioni. Tensione politica ancora alle stelle, dopo settimane di stallo. Al Ttf, la piattaforma finanziaria olandese dove si scambiano i contratti sul gas con scadenza ad agosto, il prezzo dell’oro bianco è così volato a 180 euro per Mhw. Un massacro per la manifattura e le famiglie europee se i valori rimanessero a questi livelli, o addirittura più alti nei prossimi giorni-mesi.
Il caro-bollette sta mettendo in ginocchio le nostre economie. Ieri l’indice Ifo tedesco segnalava l’avvicinarsi minaccioso della recessione in casa della locomotiva Germania. Il cancelliere Scholtz deve combattere tutti i giorni perchè industriali (e operai) chiedono di chiudere un occhio con Putin in cambio di prezzi più bassi – com’era fino a pochi mesi fa – del gas e soprattutto forniture certe. Rinunciare al ben di dio russo sarebbe un autogol senza un’alternativa concreta e immediata, dicono. Il governo di Berlino sa che la situazione è più che delicata: la scorsa settimana è dovuto intervenire con oltre 10 miliardi per evitare il crac di Uniper, primo importatore teutonico di gas, massacrato dai blocchi russi, costretto a comprare gas sul mercato spot – dunque ai prezzi olandesi – e finito in crisi di liquidità. Si spera in una soluzione europea, benché in pochi ritengono che Bruxelles possa togliere le castagne dal fuoco a premier e capi di Stato.
A complicare le cose, tornando a casa nostra, ci sono le elezioni. Non tanto perché Mario Draghi ha lasciato Palazzo Chigi, quanto per i tempi di attesa che si annunciano biblici in riferimento al rigassificatore di Piombino, il quale sulla carta dovrebbe contribuire a tappare l’eventuale buco russo. Il governo uscente aveva scelto tre rigassificatori: uno già in funzione in Veneto e due da ultimare nel più breve tempo possibile, a Ravenna e a Piombino, onde ricevere e le navi cariche di Gnl provenienti da America e altri preziosi partner. Ecco, Ravenna è pronta a partire (per l’anno prossimo) con il governatore Stefano Bonaccini carico e deciso. A Piombino invece la musica è diversa: la realizzazione del rigassificatore non vede favorevoli simpatizzanti di destra e di sinistra. In mezzo si trova il presidente toscano, Eugenio Giani, nominato commissario all’opera da Draghi stesso.
Giani, per evitare di finire in Croce, ha così fatto sapere che manderà avanti le procedure, le richieste di (30) pareri per avere l’autorizzazione, quest’ultima però sarà compito del nuovo parlamento e del nuovo governo. Come minimo dunque attenderemo fine anno per capire se l’esecutivo che uscirà dalle urne del 25 settembre sarà d’accordo con il rigassificatore e se si procederà con le autorizzazioni. Intanto chissà di quanto salirà la bolletta del gas…
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