Vavassori (Anfia): “Trattare per dazi reciproci Usa-Ue, Italia può avere ruolo importante”

Nella prima riunione del suo gabinetto alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato che i prodotti europei saranno soggetti a dazi doganali del 25% “a breve”. “Abbiamo preso la decisione e la annunceremo presto, sarà del 25%”, ha spiegato Trump, ovvero il livello al quale anche i prodotti canadesi e messicani dovrebbero essere tassati a partire dall’inizio di aprile. Nel mirino ci sono soprattutto le auto. Nell’Unione Europea “non accettano le nostre auto”, ha spiegato. Ma quale sarà l’impatto?

In una intervista a GEA, Roberto Vavassori, presidente di Anfia, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, non dà numeri, ma evidenzia subito che “ha fatto bene il Commissario Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis, ad andare a Washington qualche settimana fa per proporre di ridurre reciprocamente i dazi. Oggi dagli Usa il principale esportatore di autoveicoli non è un americano, ma Bwm. E’ chiaro che nella globalizzazione i produttori e la componentistica si sono posizionati in varie parti del mondo per servire certi mercati… quindi l’idea di fondo non dovrebbe essere portare i dazi al 25%, che non avrebbe senso, ma di portare dal 10% attuale il dazio sui veicoli importati dagli Usa al 2,5%, che è la tassa che si paga dall’Europa per esportare in America”.

Si può trattare dunque?
“Quelli di Trump non sono come i dazi europei verso la Cina, perequativi per rispondere a sussidi sbilanciati, e non sono nemmeno i dazi di Biden del 102% sulle auto cinesi. Quelli di Trump sono di un terzo tipo: dazi invocati su certi settori per invocarne altri. Bisogna però stare attenti, lo dico per Trump: se alla fine invochi troppe volte la parola dazi senza poi procedere, i risultati potrebbero non essere quelli desiderati. Fu così all’inizio con Canada e Messico, dopo la revisione del Nafta che non ha cambiato i giochi, anzi il Messico è diventato più importante.

Qual è la capacità produttiva americana?
“Gli Usa producono solo 5 milioni di auto, poi altri 5 milioni vengono realizzati tra Canada e Messico. Il resto è importato a vario titolo”.

La mossa di Trump potrebbe spingere ad aumentare la produzione Usa a scapito di quella europea?
“Questo è il tema strategico a cui guardare. Trump sta cercando di attirare produzione, ricerca e filiere, penso alla chimica e alla farmaceutica, promettendo energia a basso costo e promettendo basse imposte. Su questi temi la Ue deve essere vigile. Dobbiamo essere consapevoli che una fabbrica che chiude qua non riaprirà mai più, se non in Asia o negli Usa. Questo è il rischio che noi europei dobbiamo sventare. Che poi andare a produrre negli Usa non è facile: lo shale gas non è eterno, la manodopera scarseggia, mancano truck driver nella logistica nonostante siano pagati 110 mila dollari all’anno”.

La risposta italiana ed europea allora quale dovrebbe essere alla minaccia di dazi?
“Se la nostra premier ha il compito di fare da elemento di congiunzione e ricucitura, ruolo storico dell’Italia, lasciamo pure agli altri Paesi altri ruoli, ma serve una strategia a carte coperte. E poi serve il coraggio di metterci in piedi noi. Tu Trump ci minacci? Noi rispondiamo con fatti concreti. Anche perché siamo un mercato di 400 milioni di consumatori. Terza risposta: mentre mostriamo i muscoli dovremo cercare il calumet della pace e di sotterrare l’ascia di guerra”.

Intanto però il mercato italiano è in contrazione, non solo nell’elettrico: quali soluzioni deve prendere il governo e la Ue per ripartire?
“C’è una domanda stagnante in Europa e in Italia, un 20% in meno rispetto al pre-Covid che forse non tornerà più. Quindi siamo in presenza di una sovracapacità europea che va adeguata. Mi spiego: dobbiamo convivere con costi elevati, energetici e non solo, una competizione cinese arrembante che stiamo cercando di addomesticare. Poi la regolamentazione e ora i dazi. Il tema è come mantenere vitale un settore fondamentale in Europa. Ecco, serve un piano europeo privato che svegli i capitali dormienti nei conti corrente, come dice Draghi, che investano nella ripresa. E’ una necessità”.

Dazi Usa da una parte e auto cinesi low cost dall’altra: la transizione verso l’elettrico finirà in crisi?
“La dobbiamo rimodulare. Anche la politica europea ha capito che la nostra industria sta in piedi se vendiamo 17-18 milioni con i rispettivi componenti, elettrici o ibridi. Va disegnata la transizione con questo livello di vendite in testa. Anche guardandoci in casa. Nei prossimi 10 anni dovremo mettere mano, con l’aiuto di soldi pubblici, per rinnovare il parco circolante. L’età media delle auto è di 12,5 anni nella Ue… se vogliamo decarbonizzare dobbiamo partire cambiando, con sussidi calibrati a livello europeo, il nostro parco circolante vecchiotto, poco sicuro e inquinante. Questo aiuterebbe l’industria e la componentistica ad andare avanti. La Cina ci ha tagliato fuori alcuni mercati di sbocco importanti, passando da 1 a 5 milioni di veicoli esportati. Serve una european way”.

In poche parole, che percorso avrebbe l’european way che dice lei?
“In sostanza va finanziata la ricerca per trovare un modello europeo di elettrificazione. Nel giro di una o due generazioni di auto il 90% del lavoro sarà fatto, passando per ibrido plug-in a modelli range extender evoluti”.

Elena Fois

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