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Legambiente contro il Ponte sullo Stretto: “Italia indietro rispetto all’Europa, investire sui treni”

Nonostante dei timidi miglioramenti, in Italia la transizione ecologica della mobilità è ancora troppo lenta. A pesare sul trasporto su ferro – con pesanti ripercussioni sul sud Italia – sono, soprattutto, i continui ritardi infrastrutturali, i treni poco frequenti, le linee a binario unico, la lentezza nella riattivazione delle linee interrotte, chiuse e dismesse, e poi le risorse economiche inadeguate. A denunciarlo è Legambiente nel nuovo rapporto Pendolaria 2023, in cui fa il punto sul trasporto su ferro in Italia, invitando il governo a farlo diventare “una priorità“. Non solo. L’associazione ambientalista si rivolge direttamente al ministro Matteo Salvini. A lui, dice il presidente Stefano Ciafani, “chiediamo di dedicare ai pendolari almeno la stessa attenzione che ha messo in questi mesi per il rilancio dei cantieri delle grandi opere“, smettendo di “rincorrere” quelle “inutili” come “il Ponte sullo Stretto di Messina“.

E proprio il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti risponde a distanza alle richieste di Legambiente. “Stiamo investendo sull’alta velocità, vogliamo portarla finalmente anche al Sud, senza scordarci di investire sui treni regionali, quelli che si prendono tutti i giorni“, dice intervenendo all’International Railway Summit 2023, in corso a Roma. A dire il vero, il fronte leghista si mostra compatto e nel corso della giornata rivendica “il lavoro concreto e pragmatico” portato avanti in questi mesi dal vicepremier, “dopo anni di no ideologici“.

Il quadro che emerge dal rapporto non è rassicurante. Il nostro Paese “è indietro” rispetto a buona parte dell’Europa su diversi fronti. Ad esempio, la dotazione di linee metropolitane si ferma a 254,2 km totali, ben lontana dai valori di Regno Unito (679,1 km), Germania (656,5) e Spagna (613,8). Basti pensare che il totale di km di metropolitane in Italia è inferiore, o paragonabile, a quello di singole città europee come Madrid (291,3) o Parigi (225,2).

A pesare sono anche le persistenti differenze” tra nord e sud e “a pagarne lo scotto è soprattutto il Mezzogiorno“, dove “circolano meno treni, i convogli sono più vecchi – con un’età media di 18,5 anni“, quindi molto più elevata degli 11,9 anni di quelli del nord – e viaggiano su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate. E, ancora, le corse dei treni regionali in Sicilia, ad esempio, ricorda Legambiente, sono ogni giorno 506 contro le 2.173 della Lombardia. Per l’associazione, quindi, servirebbero più convogli, certo, ma anche collegamenti più veloci.

In 11 anni, cioè dal 2010 al 2020, in Italia sono stati fatti più investimenti sulle infrastrutture per il trasporto su gomma che su ferro, ma ora servono “maggiori risorse economiche” pari a 500 milioni l’anno per rafforzare il servizio ferroviario regionale e 1,5 miliardi l’anno per realizzare linee metropolitane, tranvie, linee suburbane. Si tratta complessivamente di 2 miliardi di euro all’anno fino al 2030, “recuperabili dal bilancio dello Stato specialmente all’interno del vasto elenco di sussidi alle fonti fossili“.

C’è però, una nota positiva. L’Italia è in vantaggio rispetto agli altri Paesi europei sull’elettrificazione della rete ferroviaria. Sono previste risorse sia nel Pnrr sia nel contratto di programma di Rfi. Gli interventi interessano complessivamente oltre 1.700 km di rete e porteranno la quota di rete elettrificata in dal 70,2% del 2022 ad oltre il 78% a fine interventi. Un fiore all’occhiello che punta alla sostenibilità. “Il tasso di elettrificazione della nostra rete – spiega l’ad del gruppo Fs, Luigi Ferraris dall’International Railway Summit – è uno dei più alti in Europa. Ma siamo i maggiori consumatori di energia del Paese e per questo abbiamo avviato un programma di autoproduzione di energia da fonti rinnovabili che coprirà almeno il 40% del nostro fabbisogno“.

Chiara Troiano

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