Scatta il click day per l’arrivo in Italia di 89.050 lavoratori stagionali extra Ue previsti dal nuovo decreto flussi 2023-2025. Il nuovo appuntamento riguarda soprattutto i settori agricolo e turistico-alberghiero, 41.000 sono le quote riservate alle Organizzazioni professionali agricole.
Le associazioni, però chiedono più quote per le conversioni e maggiore rapidità nel rilascio dei visti. Confagricoltura riconosce “lo sforzo organizzativo delle strutture territoriali che, oltre a caricare sul portale del Ministero dell’Interno le istanze per conto delle aziende agricole associate, hanno espletato l’iter di controlli preventivi, come richiesto dalle nuove norme di semplificazione, sollevando gli ispettorati territoriali da questo onere”.
Anche se le quote sono aumentate, per la confederazione resta però il timore, a causa della cronica carenza di manodopera in agricoltura, che “ancora una volta il numero delle domande possa superare le quote messe a disposizione“. Ma le preoccupazioni maggiori, anche alla luce di quanto è accaduto nel 2023, riguardano i tempi di completamento delle procedure, soprattutto a causa del ritardo nel rilascio dei visti di ingresso agli stranieri provenienti da alcuni Paesi (Nord Africa, India e Pakistan) che, sostiene Confagricoltura, “ha precluso, in alcuni casi, l’instaurazione del rapporto lavorativo”. L’Organizzazione domanda quindi un aumento del numero delle quote da assegnare per motivi di conversione dei permessi di soggiorno stagionali in permessi per lavoro subordinato (fissate in 4.000 per il 2024), attraverso un Dpcm integrativo che accolga anche le domande già presentate nel click day di dicembre 2023, ma rimaste fuori quota per incapienza.
Il portale ministeriale è “sicuramente più efficiente rispetto agli scorsi anni“, per Cia-Agricoltori italiani, che però registra come la macchina amministrativa abbia ancora notevoli ritardi sul rilascio del permesso di soggiorno definitivo. Nello specifico, Cia segnala i disagi del click day del 21 marzo scorso, quando “le istanze interessate erano quelle riguardanti la conversione dei permessi di soggiorno che andrebbero incrementate come numero di quote, vista la richiesta importante che si registra ogni anno”. Inoltre, se da una parte il protocollo Masaf, dà finalmente modo di soddisfare per la gran parte le necessità di manodopera stagionale, dall’altra “non è stata ancora messa a punto una programmazione tale da permettere alle aziende agricole di operare in tranquillità“. Questo perché la convocazione dagli Sportelli unici arriva, irrimediabilmente, dopo il periodo massimo di permanenza in Italia consentito dal Decreto flussi, cioè nove mesi. La richiesta è che si intervenga quanto prima sui piani triennali dei flussi d’ingresso, tenendo conto delle tempistiche effettivamente utili alle esigenze delle imprese agricole.
Secondo l’analisi della Coldiretti, che ha collaborato all’ultimo Dossier statistico immigrazione a cura del Centro studi e ricerche Idos, quasi un terzo del Made in Italy a tavola a livello nazionale viene prodotto nei campi e nelle stalle da migranti che hanno trovato regolarmente occupazione in agricoltura, fornendo il 32% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore.La comunità di lavoratori agricoli extracomunitari più presenti in Italia è quella indiana, seguita da quella marocchina, albanese, senegalese, pakistane, tunisina, nigeriana e macedone. Si tratta soprattutto di lavoro stagionale con picchi di domanda nei periodi estivi della raccolta che, mette in luce Coldiretti, “sono garantiti grazie a lavoratori regolari provenienti da altri Paesi, perfettamente integrati, che si fermano in Italia per qualche mese, tornando anno dopo anno spesso nella stessa azienda con reciproca soddisfazione”.
Il contributo dei flussi migratori al Made in italy sostiene molti “distretti agricoli” dove i lavoratori stranieri sono una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso della raccolta delle fragole nel Veronese, della preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva in Piemonte fino agli allevamenti da latte in Lombardia dove a svolgere l’attività di bergamini sono soprattutto i lavoratori indiani.
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