Instabilità Africa, concorrenza Russia-Cina e Ue statica: Piano Mattei in salita

Se il governo riuscisse a portare a termine il Piano Mattei, si aprirebbe uno scenario economico, energetico e geopolitico a dir poco sfavillante per l’Italia. Tra il dire e il fare, però, c’è sempre di mezzo il mare. Nel caso specifico il Mediterraneo, sponda sud: l’Africa. Perché la strada sembra essersi fatta decisamente in salita. O almeno è questo che si percepisce nel lungo ragionamento fatto dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, martedì scorso al Meeting di Rimini: “Ci rendiamo conto che camminiamo su un terreno disseminato di mine, le difficoltà sono enormi: l’Africa in questo momento è il terreno probabilmente più vasto e più tragico di quella che, riecheggiando Papa Francesco, qualche giorno fa proprio qui al meeting il cardinal Zuppi ha riproposto come la terza guerra mondiale a pezzi“.

Il Niger è solo l’ultimo esempio per far comprendere come l’instabilità del continente sia un alto fattore di rischio per i progetti internazionali. Anche quelli senza alcun intento predatorio, come ripetono tutti nel governo, da mesi, a partire dalla premier, Giorgia Meloni, a finire con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, sempre dal palco dell’evento organizzato dalla Fondazione per l’amicizia fra i popoli. Rispolverando il suo passato da cronista, usa una sintesi per spiegare cosa sia il Piano Mattei: “La sezione italiana del Piano Marshall europeo per l’Africa, di cui parlavo quando ero commissario Ue e presidente del Parlamento europeo”. Proprio l’Ue è uno dei meccanismi che ancora oggi va incastonato nel meccanismo a cui lavora Palazzo Chigi, sebbene in questi ultimi mesi l’interesse sia cresciuto in alcuni partner. Interesse, non impegno, sia chiaro. Tant’è vero che il vicepremier lo dice apertamente: “Vorrei che tutti i Paesi europei facessero quello che sta cercando di far l’Italia per favorire la crescita del continente africano“.

Il Piano vero e proprio dovrebbe essere presentato, nei dettagli, al prossimo vertice Italia-Africa di Roma, in programma a novembre. “E’ una strategia, quella che stiamo mettendo in campo, molto articolata”, spiega Tajani, con “aiuti allo sviluppo che il Maeci sta elargendo, circa 2 miliardi” e “centinaia di progetti in tutti i Paesi del dell’Africa“. Il criterio base, però, è quello di provare a trasferire il know-how “dei nostri agricoltori e dei imprenditori, di un grande Paese manifatturiero che ha quattro milioni di piccole e medie imprese, un’agricoltura di qualità e un’industria di alto livello” al continente africano “con degli accordi che siano vincenti per loro come sono vincenti per noi“. Per fare tutto questo, però, bisogna stringere accordi con i governi locali, che hanno in gestione l’enorme potenziale in termini energetici, ma anche di materie prime rare, che ci permetterebbero di competere con colossi come la Cina, che oggi le esporta a caro prezzo, praticamente riducendo la competitività delle imprese. Estrarle e lavorarle in Africa, coinvolgendo i territori e le popolazioni locali, per portarle poi nel nostro Paese, sarebbe un punto di svolta totale per l’economia. Ma anche in questo caso, c’è da andarci con i piedi di piombo. Perché oltre alle forniture di gas da Paesi con cui l’Italia ha storici accordi di collaborazione, serve costruire una rete (solida) di cooperazione allo sviluppo.

Ragion per cui, assicura ancora il ministro degli Esteri, “stiamo cercando di aprire più Ambasciate“, annunciando il prossimo allestimento di quella in Mauritania. La strada è comunque lunga e ricca di incertezze, derivate anche dalla forte presenza di Cina e Russia, ad esempio, che stanno provando ad ampliare i loro interessi nel continente. La chiave per superare la concorrenza, nelle intenzioni italiane, è quella di offrire rapporti paritetici che permettano “la crescita e la industrializzazione del continente”. Ad esempio, dice ancora Tajani, “facendo lavorare manodopera africana” e non “come fanno i cinesi, portarla dal proprio Paese“. Un’altra delle leve su cui punta il governo è il rapporto di ‘vicinato’, mentre “Russia e Pechino hanno soltanto un interesse economico ed egemonico”. Argomenti sicuramente validi, ma che fanno parte di un ingranaggio molto ampio e complesso, che richiede unità di intenti di diversi (e differenti) fattori, soprattutto politici e strategici. Dunque, una situazione molto difficile. Ma a Palazzo Chigi sono in molti a pensarla come il sottosegretario Mantovano: “Arrendersi alle difficoltà non è nella nostra cultura cristiana”.

Valentina Innocente

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