Urso avverte Stellantis: “1 mln di auto o inevitabile arrivo di un altro produttore”

L’Italia deve arrivare a produrre almeno un milione di auto all’anno per soddisfare in parte la domanda interna. Poco importa che sia Stellantis o un’altra casa automobilistica, anche cinese, a realizzarle. Il ministro delle imprese Adolfo Urso ribadisce l’obiettivo e da Torino torna a sfidare la multinazionale italo-francese dopo che ieri l’ad Carlos Tavares, in visita a Mirafiori, ha ipotizzato come l’arrivo di produttori cinesi in Italia potrebbe far diminuire la produzione di veicoli da parte di Stellantis stessa nel Paese. Urso abbozza, ricordando come il governo sia al lavoro con l’azienda perché sia messa in condizione di produrre almeno un milione di veicoli. Anzi, “per sostenere il sistema dell’indotto è assolutamente necessario arrivare a 1,4 milioni di veicoli”. Ma, avverte, “se Stellantis ritiene di poterlo fare ben venga, altrimenti è inevitabile che ci sarà spazio per un’altra o più altre case automobilistiche”.

E’ un botta e risposta dal capoluogo piemontese quello tra Urso e Tavares, nonostante il ministro si dica “fiducioso” che, grazie al dialogo tra governo e azienda “costruttivo e continuativo”, si riuscirà a raggiungere l’obiettivo di produzione in Italia. Quello che il governo, però, non si può e non vuole permettere, è che nel nostro Paese permanga quella che definisce “un’anomalia”, ovvero che esista solo un produttore di auto, che non riesce a soddisfare le esigenze del mercato interno. Unico caso in Europa, perché in Spagna vi sono sette case automobilistiche, in altri Paesi come la Francia, la Polonia, la Germania, la Slovacchia e l’Ungheria cinque o sei. “Oggi il divario tra auto prodotte e immatricolate – aggiunge Urso – è amplissimo, il più ampio d’Europa. Stellantis produce in Italia 450mila vetture e i due terzi per l’esportazione a fonte di 1,4 milioni di auto immatricolate. Quindi in Italia ci sono già altri produttori che coprono la metà del mercato interno”. E quindi, ben venga se il partner cinese di Stellantis decidesse di realizzare il suo stabilimento europeo in Italia. Anche perché la concorrenza esiste, ricorda il ministro con una stoccata a Tavares che ieri aveva detto di non volere altri produttori in Italia. “Noi siamo in un libero mercato, e possiamo e dobbiamo incentivare investimenti italiani o esteri nelle regole del libero mercato. E ci stiamo confrontando con chi ritiene di dover realizzare stabilimenti produttivi in Europa”.

E poi, l’ultima frecciata in chiave sovranista, parlando della nuova Alfa Romeo chiamata Milano e presentata ieri: “Un’auto chiamata Milano non si può produrre in Polonia. Questo lo vieta la legge italiana che nel 2003 ha definito l’Italian Sounding, una legge che prevede che non bisogna dare indicazioni che inducano in errore il consumatore. Indicazioni fallaci legate in maniera esplicita alle indicazioni geografiche. Quindi un’auto prodotta Milano si deve produrre in Italia, altrimenti si dà un’indicazione fallace che non è consentita dalla legge italiana”.

La partita in gioco è troppo importante, non solo alla luce dei 3.600 esuberi annunciati dal gruppo italo-francese, ma anche in vista della possibilità di agevolare investimenti in Italia riguardanti l’intero settore dell’automotive e il suo indotto. Preservare e rilanciare il distretto dell’automobile di Torino è anche l’auspicio delle istituzioni cittadine e delle rappresentanze datoriali che, a vario titolo si sono schierate in difesa dello stabilimento Stellantis di Mirafiori nelle stesse ore in cui i sindacati dei lavoratori Fim, Fiom e Uilm si apprestano a scendere in piazza con la grande manifestazione che hanno indetto per il 12 aprile proprio a Torino. “Chiediamo a Stellantis di tradurre quanto prima i progetti tratteggiati in azioni concrete, in grado di valorizzare Torino, puntando sulla qualità e sulle competenze degli imprenditori, dei tecnici e della manodopera che da sempre esprime”, dichiarano in una nota congiunta le associazioni di rappresentanza delle imprese torinesi. 

Valentina Innocente

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