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Al via Consiglio Ue su nomine vertici: sullo sfondo divergenze su Green deal

E’ iniziato: il Consiglio europeo da cui usciranno i nomi per i cosiddetti top jobs, cioè i vertici dell’Unione, ha avviato i lavori. Sul tavolo, per ora, ci sono le figure di Ursula von der Leyen (popolare) alla Commissione europea, l’ex primo ministro portoghese, Antonio Costa (socialista) al Consiglio europeo, la premier estone Kaja Kalas (liberale) come Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza. Se confermati dai leader nelle prossime ore, la palla passerà all’Europarlamento che dovrà, il 18 luglio, nella plenaria a Strasburgo, dare il proprio consenso al nome designato per la presidenza della Commissione europea, appunto von der Leyen.
La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, nella conferenza stampa a margine dei lavori, ha spiegato che la speranza è quella di avere un accordo oggi – probabilmente nella notte, dato che la discussione sulle cariche più alte dell’Unione europea è l’ultimo punto dell’agenda odierna dei leader. “Un accordo oggi ci darà la possibilità di votare a luglio a Strasburgo. Devo ricordare che questa volta, a differenza di altre volte, abbiamo solo una sessione plenaria a luglio. Potremo tenere il voto il 18 luglio se troviamo un accordo oggi. Lo speriamo“, ha dichiarato.

Ed è anche il passaggio al Parlamento europeo ad attirare l’attenzione dato che, secondo alcune fonti, von der Leyen potrebbe non raggiungere la maggioranza dei 361 consensi con i soli Ppe, S&d e Renew Europe. La partita aperta, dunque, è sull’estensione della maggioranza per poter superare la prova. Estensione, sì, ma dove? Ai Verdi o ai Conservatori? In questo contesto, a mostrare chiaramente le carte sono stati, nei pre-vertice della famiglia popolare e della famiglia socialista, il vice premier italiano Antonio Tajani e la leader del Pd, Elly Schlein. “Il Pd è del tutto intenzionato a far valere il proprio peso. L’abbiamo fatto in campagna elettorale firmando un impegno a dire ‘no’ a qualsiasi tipo di alleanza con il gruppo Ecr, guidato da Giorgia Meloni, così come con il gruppo Id di cui fanno parte Le Pen e Salvini”, ha dichiarato Schlein. “Per noi non può essere quella la strada, l’abbiamo chiarito: per noi è un no go, non si può fare nessuna alleanza con loro. Se bisogna allargare per noi sarebbe molto importante allargare ad altre famiglie democratiche, come democratica è la famiglia dei Verdi europei con cui ci sono tanti obiettivi condivisi a partire dalla difesa del Green deal e della necessità di accompagnarlo con tutte le risorse che servono perché la conversione non lasci indietro nessuno”, ha precisato.

All’opposto, Tajani. “Il Ppe non può aprire ai Verdi perché questo metterebbe a rischio anche l’elezione di von der Leyen, mentre bisogna avviare un dialogo con i conservatori. Per un semplice motivo, perché Meloni condivide molte nostre posizioni – penso alla questione ucraina, penso alla questione russa, penso alla questione Stato di diritto, penso a tante altre questioni come l’immigrazione – che vedono la convergenza di posizioni”, ha spiegato. “Sì”, il Ppe è compattamente contrario all’alleanza con i Verdi. “Perché il problema è il contenuto. Noi vogliamo una politica a sostegno dell’industria, dell’agricoltura, delle Piccole e medie imprese, impegnata nella lotta contro il cambiamento climatico, certamente non con una visione negazionista, ma neanche con una visione fondamentalista: serve la via del pragmatismo ambientalista, tenendo conto del problema sociale“, ha aggiunto. “Qua nessuno parla di lavoro, nessuno parla di lavoratori, nessuno parla di problemi sociali. Se noi abbiamo una politica ambientalista che non tiene conto del problema dei lavoratori, noi creiamo dei danni sociali irrimediabili”, ha precisato Tajani.

Al nocciolo, il Green deal, che invece per la famiglia socialista è una priorità. “Il Next Generation Eu, non può essere una parentesi che si chiude su spinta delle destre nazionaliste: ci serve, serve all’Italia, che continuino gli investimenti comuni europei. Serve un piano industriale europeo che può possa supportare una conversione ecologica giusta e la trasformazione digitale senza lasciare indietro nessuno. Il Green deal non è meno industria, è un tipo diverso di industria in cui l’Italia può tornare a guidare, come ha fatto sempre, sull’economia circolare”, ha spiegato Schlein. “Il Green deal non deve perdere la sua ambizione ma dobbiamo pretendere tutte le risorse e gli investimenti comuni per prendere per mano le imprese, i lavoratori e gli agricoltori e accompagnarli nei cambiamenti necessari”, ha proseguito.

Intanto bisogna anche ricordare che in seno al Consiglio europeo ci sono stati dei precedenti di elezione di presidenti della Commissione non all’unanimità bensì con la maggioranza qualificata: Jean Claude Juncker e la stessa von der Leyen 5 anni fa. E l’esperienza potrebbe riprodursi ora. Così come il fatto che nel 2019 la cancelliera Angela Merkel chiese il consenso dei Conservatori al Parlamento europeo perché senza di loro von der Leyen non sarebbe stata eletta. “Non tutti i Conservatori la votarono ma i polacchi la votarono. Bisogna tenere conto di tante variabili, quando si vota a scrutinio segreto. Ho invitato tutti a grande prudenza e grande attenzione”, ha evidenziato Tajani. Posizioni e aspirazioni diverse, ovviamente. Soprattutto sul Green deal. Ma che troveranno casa, alla fine dei conti, nella stessa maggioranza dato che Schlein e Tajani fanno parte delle due famiglie politiche non in discussione per la costruzione dell’alleanza.

Valentina Innocente

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