“Il Presidente eletto ha già annunciato tariffe commerciali sui beni importati dalla Cina oltre il 60% e tra il 10 e il 20% sui prodotti europei, l’abbandono dell’accordo Tpp (Trans-Pacific Partnership) e la rinegoziazione del Nafta. Questa svolta potrebbe innescare una guerra commerciale che avrebbe effetti negativi a livello globale e, in modo particolare, sull’Europa e sugli stessi Stati Uniti, un esempio perfetto di eterogenesi dei fini”. Lo scrive Pietro Reichlin, professore di Economia alla Luiss, in un suo intervento su La Stampa. E aggiunge: “La tesi di Trump è che il disavanzo commerciale sia il frutto della “scorrettezza” delle politiche dei paesi partner (prevalentemente la Cina) e che esso sia responsabile del declino dell’industria manifatturiera americana e della stagnazione dei salari dei lavoratori ‘blue-collar’. Tuttavia, queste affermazioni sono molto discutibili”. Pii ancora: “La vittoria di Trump sta già provocando un forte apprezzamento del dollaro, a causa delle minacce protezionistiche e dell’impatto che possono avere sull’inflazione. Anziché migliorare la posizione commerciale sull’estero, la guerra commerciale potrebbe avere l’effetto opposto, cioè rendere le merci americane meno competitive. Oltre il 50 per cento delle importazioni è costituito da beni intermedi, e un aumento delle tariffe aumenterebbe anche i costi delle imprese, con probabili effetti negativi su salari e occupazione. Questo effetto è stato già osservato come conseguenza del moderato aumento delle tariffe durante la prima presidenza Trump”.
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