“Ci si lamenta, si chiede sostegno, ma poi si reagisce, come è nella tradizione delle aziende italiane”. Così Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia. “Con dazi così significativi la sfida è duplice: individuare specifiche forme di sostegno per i produttori e pensare ad una campagna pubblica di promozione negli Usa, penso ad una comunicazione che spieghi che l’olio italiano è un balsamo per la salute e sceglierlo fa bene al fisico”, spiega a Il Corriere della Sera. E poi aggiunge: “Coldiretti stima perdite di un miliardo di euro, ma può essere prematuro fare calcoli definitivi, anche se ci sono già stati effetti a breve termine con una brusca caduta dell’export agroalimentare negli Usa: dopo l’annuncio del 2 aprile si è passati dal +11% del primo trimestre 2025 a +1,3% di aprile e + 0,4% di maggio, la flessione è già in atto”. Scordamaglia poi sottolinea: “Il vino è ancora un punto interrogativo: non è chiaro se il reciproco dazio zero sugli alcolici includa solo i superalcolici, come vorrebbe Trump, o anche il vino, come chiede l’Europa. L’80% del vino italiano negli Usa è il prodotto medio che da noi in cantina costa 5 euro e lì già oggi costa 30 euro a scaffale: un dazio al 15% significa che buona parte dei consumatori Usa non lo comprerà più”.La delusione è l’elemento prevalente, soprattutto per la modalità con cui sono state portate avanti le trattative. Un minimo di sollievo c’è visti gli annunci dei mesi scorsi che prospettavano dazi ben più alti. Del resto nessuno si aspettava una guerra commerciale con gli Stati Uniti essendo obiettivamente in una posizione di debolezza”.
Su Ursula von der Leyen il giudizio è severo: “Negoziare alla pari con Trump era impossibile, ma i risultati ottenuti sono del tutto squilibrati. Inoltre credo che stia emergendo un atteggiamento autocratico della von der Leyen che giudico un interlocutore totalmente inaffidabile e inadeguato e che ci sta danneggiando: come è possibile tassare le aziende europee con i fatturati oltre i 100 milioni mentre Trump propone misure ad hoc per attrarle negli Usa?”. Scordamaglia conclude assicurando che non si può rinunciare al mercato Usa: “Assolutamente no! Pensarlo è da economista della domenica. Bene stanno facendo l’Ice e Sace , insieme ai ministeri degli Esteri e dell’Agricoltura, ad esplorare nuovi mercati, la diversificazione è più che mai necessaria. Ma parliamo di una piccola cosa rispetto agli Stati Uniti. L’export agroalimentare italiano in Cina vale appena 660 milioni di euro”.
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