“Qualsiasi lista, come qualsiasi numero, al momento è un esercizio retorico che lascia il tempo che trova: l’unica cosa seria che si può dire è che nel piano che sarà scritto o dettato da Washington, per la prima volta dopo anni, in un contesto europeo, l’Italia potrebbe anche avere un ruolo pari o superiore a storici competitor come Berlino o Parigi”. E’ la frase che riporta il Corriere della Sera attribuendola a chi nel governo conosce il dossier da vicino, ma è restio a fare altre considerazioni. Sono tante le aziende italiane che sarebbero coinvolte nella ricostruzione di Gaza: Da Webuild all’Eni, la regina delle nostre partecipate, che però non si sa ancora quale ruolo potrebbe svolgere: di sicuro al momento c’è solo l’ipotesi (gara vinta, licenze non ancora assegnate) di sfruttare un giacimento che sta a 150 miglia da Gaza, ma in acque israeliane. E ancora si legge “nelle stanze del governo si fanno diversi esempi: occorrerà ricostruire dalla macerie, ripristinare la rete elettrica o del gas, ma le considerazioni attuali sono tutte infondate: Saipem potrebbe avere un ruolo se le grandi arterie di trasporto del gas saranno ricostruite, e invece Italgas avrebbe un protagonismo diverso e magari alternativo se all’Italia toccasse ripristinare la rete cittadina”. Viene citato anche Antonio Tajani, ministro degli Esteri: “Gli italiani sanno lavorare bene come forza di stabilizzazione, perché gli italiani hanno lavorato in Afghanistan, in questo settore, in Libano e anche in Iraq. Siamo pronti a fare ciò che dobbiamo fare, con gli altri, ma anche nel settore privato. Per la ricostruzione, siamo pronti a fare di più nel settore sanitario, per la creazione di nuovi ospedali moderni. Siamo pronti anche per la ricostruzione delle università. Non è facile lavorare per la ricostruzione, perché prima bisogna ripulire l’area dalle macerie, ma anche in questo settore in Italia ci sono molte aziende, esperti, che si occupano di tutto per l’esperienza fatta con i nostri terremoti”.
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