“Lo scorso giugno il Dipartimento per la Scienza, l’Innovazione e la Tecnologia, insieme al Segretario alla Tecnologia Peter Kyle, ha annunciato formalmente l’avvio di una partnership tra il governo britannico e le principali aziende tecnologiche per potenziare le competenze in Intelligenza artificiale (Ai) della forza lavoro nazionale. Questa collaborazione mira a fornire una formazione essenziale in Ai a 7,5 milioni di lavoratori britannici, un numero che rappresenta circa un quinto della forza lavoro del Regno Unito, ovvero la metà della knowledge workforce del Paese”. Lo scrive in un suo intervento su Il Sole 24 Ore Padre Paolo Benanti, teologo e filosofo, presidente della Commissione Intelligenza Artificiale per l’Informazione. “Secondo il Segretario Kyle, l’Intelligenza artificiale rappresenta la nuova frontiera economica, e l’obiettivo è preparare i cittadini britannici ai lavori del futuro per stimolare la crescita che alimenta il “Plan for Change” del governo. I britannici prevedono che circa 10 milioni di lavoratori utilizzeranno l’Ai nel loro ruolo quotidiano entro il 2035. Il potenziamento delle competenze in Ai è destinato a sbloccare ulteriore crescita e posti di lavoro ben retribuiti. L’Ai generativa (Gen Ai), secondo queste prospettive, potrebbe raddoppiare il tasso di crescita economica a lungo termine del Regno Unito nei prossimi 15 anni e aumentare significativamente il Pil, a condizione che le persone siano formate per utilizzare la tecnologia con sicurezza”, si legge ancora. Padre Benanti conclude così: “Al di là delle reali possibilità che questa iniziativa ha nel realizzare le promesse che vengono declamate dai diversi annunci, ci sembra che emergano alcune frontiere lungo le quali si delineano altrettante sfide etiche. La prima riguarda la chiara identificazione di quello che sembra essere il vero fattore abilitante di una crescita mediante l’Ai: il fattore umano. È l’uomo la piattaforma abilitante di ogni possibile aumento di produttività mediante l’Ai. Lungo questa frontiera però la scelta etica da fare chiede di interrogarci collettivamente: vogliamo che questa sia una trasformazione che premi i lavoratori o le lavoratrici che meglio sapranno adattarsi e sopravvivere alla trasformazione o vogliamo far sì che questa sfida ci veda rispondere in modo che non uno di meno abbia la chance di partecipare di questa trasformazione? Una seconda linea di frontiera si ha all’evidente convergenza di interessi tra pubblico e privato. Da un lato i governi hanno bisogno di contenere e gestire il potenziale impatto disruptive sulla forza lavoro, dall’altra le aziende hanno bisogno di lavoratori che sappiano trasformare le potenziali dell’Ai in concrete trasformazioni della produttività dando luogo ad adeguati ritorni degli investimenti fatti. In questa win-win situation non rimane che da chiedersi come e quali strategie vogliamo mettere in atto per garantire che non uno di meno nel nostro Paese possa trarre i vantaggi dall’Ai”.
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