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E’ allarme Marmolada: entro il 2040, secondo gli studiosi, il ghiacciaio più grande delle Dolomiti sparirà e lascerà spazio alla nuda roccia. Perde ormai fino a picchi di 7 cm al giorno: dal 1888 è arretrato di 1.200 metri e con un innalzamento della quota della fronte di 3500 metri. Negli ultimi cinque anni ha perso ben 70 ettari di superficie, pari a 98 campi da calcio, passando da circa 170 ettari del 2019 ai 98 nel 2023. Il verdetto di “coma irreversibile” arriva dalla Carovana dei ghiacciai, campagna di Legambiente, Cipra e la partnership scientifica del Comitato glaciologico italiano.
Una condanna a morte che la Marmolada condivide con i due ghiacciai più grandi delle Alpi, quello dell’Adamello, situato tra Lombardia e Trentino, e quello dei Forni, in Lombardia, tutti e tre posti sotto i 3500 metri e segnati da perdite di spessore importanti. Misure sulle condizioni superficiali dei ghiacciai indicano che il ghiacciaio della Marmolada e dei Forni hanno picchi di perdita di spessore a breve termine rispettivamente di 7 e 10 cm al giorno; mentre per il ghiacciaio dell’Adamello le misurazioni a lungo termine rilevano che la perdita di spessore derivata dalla fusione glaciale permette di camminare oggi sul ghiaccio derivato dalle nevicate degli anni ‘80. In particolare, il ghiacciaio della Marmolada è un super osservato speciale da Carovana dei ghiacciai che ha fatto tappa sulla Regina delle Dolomiti già nel 2020 e nel 2022 per poi tornarci nel 2024. Quello che emerge è un ghiacciaio in forte sofferenza: se 136 anni fa si estendeva per circa 500 ettari, ed era grande come 700 campi da calcio, dal 1888 ha registrato una perdita areale superiore all’80% e una perdita volumetrica superiore al 94%. Nel 2024 lo spessore massimo è di 34 metri. L’accelerata della fusione del ghiaccio ad alta quota sta lasciando il posto ad un deserto di roccia bianca, levigata da quello che un tempo era il grande gigante bianco, e prendono vita nuovi ecosistemi.
“I dati glaciologici sulla Marmolada rendono questo ghiacciaio emblematico per la sofferenza di tutti i ghiacciai alpini – dichiarano Valter Maggi e Marco Giardino, rispettivamente presidente e vicepresidente del Comitato Glaciologico Italiano – Si tratta di un corpo glaciale scarsamente alimentato che soffre a causa della pressione climatica e antropica. Le trasformazioni ambientali si stanno ripercuotendo su questo ambiente glaciale e dobbiamo tenerne conto sia per i ghiacciai sia per le aree circostanti”.
Sulla Marmolada, inoltre, preoccupa l’inquinamento da microplastiche legato anche ai teli geotermici che per Legambiente sono solo “un accanimento terapeutico”. Attualmente ci sono 4 ettari di teli sul ghiacciaio, un numero che è raddoppiato rispetto all’inizio. C’è poi la questione dei rifiuti abbandonati in quota, di ieri e di oggi. Sono circa 400 quelli trovati e raccolti sulla Marmolada dal team di Carovana dei ghiacciai e dai volontari che il 6 settembre, nel primo giorno di tappa, nell’attività di Clean up organizzata in vista di Puliamo il Mondo. Infine, c’è la questione della post gestione degli impianti chiusi e da smantellare come quello a Pian dei Fiacconi, l’impianto di risalita, chiuso nel 2019, che è stato travolto dalla valanga del 2020. Oggi in quota rimane una struttura abbandonata e sventrata dalla valanga e dal pesante impatto ambientale e paesaggistico in un’area montana che è patrimonio Unesco. Per questo Legambiente chiede si intervenga al più presto per smantellarlo e che non vengano costruiti altri impianti di risalita visto che la zona di Pia dei Fiacconi è considerata zona rossa, ossia zona a pericolosità P-4 elevata, che nella scala di valutazione è la pericolosità massima.
“La conoscenza, unita alla ricerca scientifica devono però essere accompagnate anche da politiche di adattamento e di mitigazione, e da interventi su scala nazionale e locale, coinvolgendo anche le comunità locali – commenta Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – Per questo riteniamo sempre più urgente l’attuazione, accanto alle politiche di mitigazione, di un efficace piano di adattamento nazionale alla crisi climatica, a partire dalle zone più vulnerabili, come l’alta montagna”.
Per Vanda Bonardo responsabile nazionale Alpi di Legambiente e presidente di CIPRA Italia servono “risposte urgenti a partire da una governance sostenibile del territorio”.
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