Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno organizzato la COP28 l’anno scorso, l’Azerbaigian, che ospiterà la COP29 a partire dall’11 novembre, e il Brasile, futuro ospite della COP30 l’anno prossimo, stanno pianificando di aumentare la loro produzione di combustibili fossili del 32% entro il 2035. Lo rivela un rapporto pubblicato dall’Ong Oil Change International.
Questi tre Paesi hanno annunciato a febbraio, pochi mesi dopo l’accordo della COP28 a favore di una graduale eliminazione dei combustibili fossili al fine di limitare le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale, di voler formare una “troika di presidenze della COP” con l’obiettivo di “migliorare la cooperazione e la continuità” nei negoziati globali sul clima al fine di limitare il riscaldamento a 1,5 gradi.
“Mentre i Paesi del Nord, come gli Stati Uniti, rimangono i maggiori produttori di petrolio e gas e hanno la responsabilità e i mezzi per guidare la graduale eliminazione dei combustibili fossili, i Paesi della troika hanno il particolare dovere di dare l’esempio”, afferma Oil Change International in un comunicato stampa.
Questi tre Paesi si sono impegnati a includere riduzioni delle emissioni compatibili con il limite di 1,5 gradi nelle loro prossime Nationally Determined Contributions (NDC) per il 2035 e hanno esortato gli altri Paesi a fare lo stesso entro febbraio 2025. Tuttavia, secondo Oil Change International, il Brasile prevede di aumentare la propria produzione di petrolio e gas del 36% entro il 2035 rispetto al 2023, gli Emirati Arabi Uniti del 34% e l’Azerbaigian del 14%.
L’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie) stima che la produzione globale di combustibili fossili dovrà diminuire di quasi il 55% da qui al 2035 se vogliamo rimanere entro il limite di 1,5 gradi per il riscaldamento globale, considerato l’obiettivo più sicuro nell’ambito dell’Accordo di Parigi. Proseguendo con i loro piani di sfruttamento dei combustibili fossili, quindi, “la troika rischia di compromettere l’obiettivo di cui dovrebbe essere custode e di dare un pessimo esempio agli altri Paesi”, sottolinea Shady Khalil, uno dei responsabili di Oil Change International.
L’Ong attacca anche i Paesi del nord. Secondo uno studio precedente, Stati Uniti, Canada, Australia, Norvegia e Regno Unito potrebbero essere responsabili di circa il 50% dell’inquinamento da carbonio prodotto dai nuovi giacimenti di petrolio e gas e dai pozzi di fratturazione idraulica entro il 2050. “Senza un’azione immediata da parte di questi ricchi produttori di petrolio e gas, l’obiettivo di raggiungere una giusta ed equa eliminazione globale dei combustibili fossili sarà bloccato”, conclude l’associazione, chiedendo “la fine dell’espansione dei combustibili fossili ovunque, anche nei Paesi” della troika.
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