La guerra in Ucraina, tra le sue innumerevoli conseguenze, sta ostacolando anche la ricerca scientifica nell’Artico, a causa dell’isolamento della Russia. Qui, come in altre parti del pianeta, i ricercatori occidentali e russi hanno interrotto praticamente tutti i rapporti dall’inizio del conflitto, anche se la cooperazione si era deteriorata a partire dagli anni 2010 con proprio con Vladimir Putin. Niente più viaggi in motoslitta per visitare i colleghi: nell’arcipelago norvegese delle Svalbard, arroccato nell’Artico, il glaciologo Andrew Hodson ha interrotto ogni contatto con le sue controparti russe dopo l’invasione dell’Ucraina.
“Lavoravamo con idrologi e specialisti del permafrost russi. Ora non è più così”, racconta lo scienziato britannico. “Siamo dispiaciuti di non poter collaborare, ma ovviamente non siamo affatto contenti di ciò che il governo russo sta facendo”, afferma nel suo ufficio presso l’Università di Longyearbyen, la capitale dell’arcipelago. Lo stallo nelle relazioni ha conseguenze di vasta portata per la ricerca in una regione che si sta riscaldando quattro volte più velocemente del resto del pianeta, rendendola un laboratorio climatico. Un laboratorio in cui la Russia gioca un ruolo chiave, non da ultimo per la sua impronta geografica. Dal febbraio 2022, il flusso di dati russi si è completamente interrotto.
“Questo è dannoso perché la Russia rappresenta più della metà dell’Artico”, commenta Rolf Rødven, segretario esecutivo dell’Arctic Monitoring and Assessment Programme (Amap). Questo priva gli scienziati di informazioni preziose sul permafrost, una bomba a orologeria climatica che esiste soprattutto in territorio russo, o sugli incendi boschivi che probabilmente sono disastrosi lì come in Nord America. Anche se alcune informazioni possono essere ottenute tramite banche dati internazionali come quelle dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) o osservazioni satellitari, ci sono ancora grandi lacune.
All’interno del Consiglio Artico, un forum regionale a lungo considerato un modello di cooperazione ma ora diviso tra l’Occidente (Stati Uniti, Canada, Norvegia, Svezia, Danimarca, Finlandia, Islanda) e i russi, alcuni progetti sono stati sospesi e alcuni studi ritardati. Non solo sono cessati i rapporti con gli istituti di ricerca di Mosca, quasi tutti statali, ma anche i pochi ricercatori indipendenti sono riluttanti a collaborare per paura di essere accusati di tradimento o spionaggio. Già nel 2019, gli scienziati russi avevano espresso preoccupazione per le restrizioni ai contatti con i colleghi stranieri, sollevando lo spettro di un ritorno alla situazione dell’era sovietica. E all’interno dei confini russi, la ricerca sta soffrendo di una fuga di cervelli – iniziata già prima dell’invasione in Ucraina – e di un calo dei finanziamenti per lo sforzo bellico.
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