Fare la pace con la natura. E’ l’appello che arriva da Cali, in Colombia, dove lunedì si aperta la Cop16, la conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità. L’ambizione – che dovrà ora essere definita da azioni concrete da mettere in campo – è quella di liberare le risorse finanziarie necessarie per raggiungere l’obiettivo di fermare la distruzione della biodiversità da parte dell’umanità entro il 2030.
PREGHIERA ALLA MADRE TERRA. Ad aprire i lavori è stata la ministra dell’Ambiente colombiana, Susana Muhamad, che ha assunto la presidenza di questa 16aesima Conferenza della Convenzione Onu sulla Diversità Biologica (CBD), in una prima sessione plenaria aperta da una preghiera alla ‘Pachamama’, la Madre Terra, pronunciata dai membri di uno dei 115 popoli indigeni del Paese.
Questa Cop sulla biodiversità, la più grande mai organizzata con 23.000 partecipanti, si svolge sotto stretta sorveglianza a causa delle minacce dei guerriglieri in guerra con il governo colombiano. Circa 11.000 agenti di polizia e soldati stanno rafforzando la sicurezza a Cali, che è in stato di massima allerta e dove sono attesi 140 ministri e una dozzina di capi di Stato.
“NON C’E’ TEMPO DA PERDERE”. “Noi siamo natura”, ha dichiarato la ministra colombiana “ed è da questo senso profondo, quasi spirituale, di umanità che possiamo creare questo obiettivo comune, che dovrebbe essere importante quanto, se non più, della transizione energetica e della decarbonizzazione” dell’economia, trattate dalle Cop sul clima di più alto profilo (la prossima, la Cop29, si aprirà tra tre settimane in Azerbaigian), nonostante gli appelli a conciliare la crisi climatica con quella della natura. “Il pianeta non ha tempo da perdere” e “Cali 2024 potrebbe essere una luce in un mondo molto buio’” ha detto incoraggiando i delegati dei 196 Paesi membri (esclusi gli Stati Uniti) della CBD.
MANCANO LE STRATEGIE PER LA BIODIVERSITA’. Due anni fa, in occasione della Cop15, era stato adottato lo storico accordo “Kunming-Montreal”, una tabella di marcia volta a “fermare e invertire” entro il 2030 la distruzione di terre, oceani e specie viventi essenziali per l’umanità. I Paesi si erano impegnati a presentare una “strategia nazionale per la biodiversità” entro la Cop16, che riflettesse la loro parte di sforzi necessari per raggiungere i 23 obiettivi globali stabiliti: proteggere il 30% della terra e del mare, ripristinare il 30% degli ecosistemi degradati, dimezzare l’uso di pesticidi e il tasso di introduzione di specie aliene invasive, mobilitare 200 miliardi di dollari all’anno per la natura, ecc.
Ad oggi, però, solo 34 Paesi hanno rispettato l’impegno di presentare strategie complete. E 107 hanno presentato “obiettivi nazionali”, cioè impegni su tutti o alcuni delle tappe da raggiungere.
LA BATTAGLIA FINANZIARIA. La Cop16 deve anche presentare i dettagli di un meccanismo di monitoraggio degli sforzi globali, con indicatori indiscutibili, per responsabilizzare i Paesi e preparare un rapporto ufficiale credibile sui progressi compiuti per la Cop17 del 2026. ACali si dovrà anche negoziare un sistema di ripartizione dei profitti realizzati dalle aziende dei Paesi ricchi, tra cui quelle cosmetiche e farmaceutiche, grazie ai dati genetici derivati da piante e animali conservati dai Paesi in via di sviluppo. Ma il vero nocciolo della battaglia, infatti, sarà finanziario: “Siamo tutti d’accordo che siamo sottofinanziati per questa missione, che abbiamo bisogno di altre fonti di finanziamento”, ha dichiarato la presidente della Cop16, esortando i Paesi sviluppati, che dovrebbero fornire 20 miliardi di dollari all’anno entro il 2025, ad annunciare nuovi impegni.
I popoli indigeni dell’Amazzonia chiedono un “meccanismo di finanziamento diretto” per poter “continuare a conservare e proteggere questi territori”, ha spiegato Oswaldo Muca Castizo, presidente dell’Organizzazione dei popoli indigeni dell’Amazzonia colombiana (OPIAC). Tanto più che, secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), più di un quarto di tutte le specie è minacciato di estinzione.
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