Aerial view of the village of Metuktire, in the Amazon rainforest of Mato Grosso state, Brazil, taken on March 22, 2025. Metuktire, home to Brazil's most influential indigenous leader, Cacique Raoni Metutkire, has been the heart of a decades-long successful fight against deforestation in a region devastated by illegal mining and other crimes against the rainforest. (Photo by Pablo PORCIUNCULA / AFP)
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L’equivalente di 18 campi da calcio al minuto: lo scorso anno la distruzione delle foreste vergini tropicali ha raggiunto un livello record da almeno vent’anni, a causa degli incendi alimentati dai cambiamenti climatici e di una situazione che sta nuovamente peggiorando in Brasile. Le regioni tropicali hanno perso lo scorso anno 6,7 milioni di ettari di foresta primaria, una superficie quasi equivalente a quella di Panama, il livello più alto dall’inizio della raccolta dei dati nel 2002 da parte dell’osservatorio di riferimento Global Forest Watch, elaborato dal think tank americano World Resources Institute (WRI) con l’Università del Maryland.
Il dato, in aumento dell’80% rispetto al 2023, “equivale alla perdita di 18 campi da calcio al minuto”, ha sottolineato Elizabeth Goldman, condirettrice dell’osservatorio. Gli incendi sono responsabili di quasi la metà di queste perdite, superando per la prima volta l’agricoltura. Distruzioni che hanno comportato 3,1 miliardi di tonnellate di CO2 emesse nell’atmosfera, poco più delle emissioni legate all’energia dell’India.
“Questo livello di distruzione delle foreste è senza precedenti in oltre 20 anni di dati”, ha sottolineato Goldman. “È un allarme rosso mondiale“.
Il rapporto si concentra sulle foreste tropicali, le più minacciate e molto importanti per la biodiversità e la loro capacità di assorbire il carbonio dall’aria. Comprende le perdite per tutti i motivi: deforestazione volontaria, ma anche distruzione accidentale e incendi. Gli incendi sono stati favoriti da “condizioni estreme” che li hanno resi “più intensi e difficili da controllare”, osservano gli autori.
Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato al mondo a causa dei cambiamenti climatici, causati dalla massiccia combustione di energie fossili e dal fenomeno naturale El Niño. Sebbene gli incendi possano avere origini naturali, nella maggior parte dei casi sono causati dall’uomo nelle foreste tropicali per disboscare i terreni. La deforestazione finalizzata specificamente all’agricoltura, storicamente la prima causa di distruzione, si colloca al secondo posto, ma rimane una causa importante. Lo scorso anno il Brasile ha registrato la distruzione di 2,8 milioni di ettari di foresta primaria, di cui due terzi attribuiti agli incendi, spesso appiccati per fare spazio alla soia o al bestiame. Il Paese aveva tuttavia registrato buoni risultati nel 2023, grazie alle misure di protezione delle foreste decise dal presidente Lula nel primo anno del suo nuovo mandato.
“Questo progresso è tuttavia minacciato dall’espansione dell’agricoltura”, osserva Sarah Carter, ricercatrice del WRI. L’Amazzonia brasiliana è stata la zona più colpita, con un livello di distruzione ai massimi livelli dal 2016. I dati del WRI contrastano con quelli della rete di monitoraggio brasiliana MapBiomas pubblicati il 16 maggio, che riportano un netto calo della deforestazione ma non includono gli incendi. La protezione delle foreste è una delle priorità della presidenza brasiliana della COP30, la grande conferenza annuale delle Nazioni Unite sul clima, prevista a Belém (10-21 novembre). Un paese vicino, la Bolivia, occupa il secondo posto sul podio, con una triplicazione delle superfici distrutte lo scorso anno, anche in questo caso a causa di incendi giganteschi. La maggior parte “sono appiccati per dissodare terreni a vantaggio di aziende agricole di dimensioni industriali”, osservano gli autori. Il bilancio è contrastante altrove, migliora in Indonesia e Malesia, ma peggiora nettamente in Congo e nella Repubblica Democratica del Congo. La pressione sulle foreste deriva storicamente dallo sfruttamento di quattro prodotti, soprannominati i “big four”: olio di palma, soia, carne bovina e legno. Ma il miglioramento in alcuni settori, come quello dell’olio di palma, ha coinciso con l’emergere di nuovi problemi, come ad esempio gli avocado in Messico o il caffè e il cacao. Le cause della deforestazione non rimarranno quindi necessariamente “sempre le stesse”, insiste Rod Taylor, direttore del programma foreste del WRI, che sostiene un approccio globale. “Stiamo assistendo anche a un nuovo fenomeno legato all’industria mineraria e ai metalli critici”, avverte.
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