Acciaio, Gozzi sprona Ue: “In gioco sopravvivenza, rivedere ideologia Green Deal”

Parla di “sopravvivenza” il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, aprendo i lavori dell’assemblea annuale dell’associazione di Confindustria. Una partita “che si gioca a Bruxelles”, perché è lì che “devono essere assunte le grandi scelte capaci di evitare l’irrilevanza geo-politica, economica e industriale dell’Europa in un mondo che sta cambiando a velocità supersonica”.

Gozzi parla da Bergamo, non a caso scelta come sede della grande assise 2025, perché è una delle grandi città italiane dell’acciaio, di Tenaris Dalmine e della Lucchini. E parla soprattutto alla presenza del vicepresidente esecutivo Commissione Europea, per la Coesione e le Riforme, Raffaele Fitto, e del vicepresidente e commissario per la Prosperità e la Strategia Industriale, Stéphane Séjourné. “Se vogliamo sensatamente parlare di futuro della siderurgia, e quindi del futuro di tutta l’industria manifatturiera che ci sta sotto, non si può prescindere da alcune fondamentali condizioni che, ancora una volta da questa sede, evidenziamo e ricordiamo ai policy makers”, spiega Gozzi. Che scandisce: “Condizioni eque nel commercio internazionale, neutralità tecnologica nella transizione energetica con un approccio più pragmatico e meno ideologico, prezzi competitivi dell’energia e in particolare di quella rinnovabile o decarbonizzata, aumento della disponibilità di rottame ferroso e delle altre cariche metalliche”.

Uno dei temi è ovviamente quello del commercio internazionale, dai dazi ma non solo. “Occorre ridefinire le regole – spiega – perché il commercio deve essere equo e non selvaggio. Occorre chiedersi se le norme del Wto, rispettate ormai solo dagli europei, siano ancora valide o appartengano al passato e non aiutino più nella fase attuale. Senza adeguate politiche di difesa e tutela da questa concorrenza sleale e da questa immane sovraccapacità la situazione può portare in pochi anni al collasso totale dell’industria europea”. Una delle questioni più spinose toccate da Gozzi è stata quella dell’Ilva su cui però, per il presidente di Federacciai, “siamo ai titoli di coda”: “Il fatto che non si siano presentati operatori industriali all’asta significa che secondo i siderurgici è impossibile fare industria a Taranto”. E se al ministro Urso “diciamo che capiamo perfettamente lo sforzo che fa lo Stato per salvare l’impianto siderurgico più grande d’Europa”, “bisogna anche rendersi conto le imprese non possono farsi carico delle bonifiche ambientali” né “dei costi sociali, gestendo la riconversione occupazionale”. L’Ilva “sarebbe ridimensionata ma sarebbe salvaguardato un impianto strategico”. E poi, rincara Gozzi, per dare una possibilità all’Ilva ci devono essere “le condizioni abilitanti”: la prima “è sapere se i tarantini vogliono in una presenza industriale siderurgica o no”. La seconda “è che bisogna fare un accordo con l’Eni sul prezzo del gas”, la terza “riguarda l’acciaio prodotto da forno elettrico, il ché implica che il prezzo dell’energia elettrica diventa strategico” ed è un tema che riguarda “tutti gli operatori siderurgici italiani”, perché “non si può pagare l’energia elettrica più cara di tutta Europa”.

E poi naturalmente, c’è la condizione sociale. Se si riuscissero a produrre 5 milioni di tonnellate d’acciaio non si può pensare che ci vogliano gli stessi addetti che erano necessarie per farne 10”. Una nuova stoccata all’Ue, Gozzi la rifila al Green Deal, che chiama “era Timmermans”. Un piano ‘verde’ che a detta del capo di Federacciai “ha prodotto ben poco”: “Le emissioni in crescita nel mondo superano 10/20 volte quelle ridotte a livello europeo – ha spiegato -. La regolamentazione ideologica ed estremista dell’Unione ha invece contribuito in maniera determinante alla perdita di competitività e di quote di mercato di molti settori dell’industria europea senza aver acquisito alcun vantaggio tecnologico in nessun settore della green economy. Il Green Deal finora è stato un formidabile assist fornito all’industria cinese dei pannelli solari, degli inverter, delle turbine e delle pale eoliche, degli accumuli e delle batterie, delle auto elettriche, che è diventata leader incontrastata mondiale nella produzione di tutti questi oggetti. E ciò ha determinato una nuova e grave dipendenza strategica dell’Europa”.

Davanti a Fitto e a Séjourné, Gozzi ricorda il concetto di “primo della classe” al quale l’Ue è rimasta legata. “L’Europa rappresenta il 6% delle emissioni globali nel mondo e l’industria ne è responsabile per meno della metà”. Dunque “se con un colpo di bacchetta magica si chiudessero tute le industrie europee, non ci sarebbe grande effetto sulle emissioni globali di CO2 perché continuano a crescere in Cina, India e Usa. Paesi che non hanno seguito il principio del primo della classe. L’Europa voleva insegnare a tutti quello che dovevano fare. Ma alla fine del percorso del Green Deal rischiamo di non avere portato alcun beneficio all’ambiente in termini di emissioni, mentre abbiamo distrutto un sistema industriale”. Regole troppo rigide, su quale si è scagliato lo stesso presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, sul palco di Federacciai per chiudere all’assemblea. E non sono mancate altre bordate: “Io sono europeista convinto ma questa Europa a noi non serve. Chi è a Bruxelles non si rende conto della percezione che abbiamo noi. Ci dicono che l’Ets è un problema e vogliono costruire un Ets 2″, “non si possono cambiare le regole ambientali ogni due anni” ma “un imprenditore fa piani a 5-6 anni”. Insomma, “serve certezza, fare robe chiare”.

Poco prima era stata invece la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel suo intervento in videomessaggio a chiarire che “ormai è sempre più chiaro che una delle priorità da cui ripartire per cambiare questo scenario sia ripensare profondamente la politica ambientale europea che, così come è stata portata avanti finora, ha finito solo con l’avvantaggiare i nostri concorrenti mondiali e per di più senza incidere davvero sulle missioni globali”. Secondo la premier “è necessario invertire la rotta. Lo sosteniamo da sempre e in questi anni il governo ha lavorato con determinazione in Europa per rimettere in discussione l’architettura stessa del Green Deal. I primi risultati stanno arrivando, l’esito del Consiglio europeo di ottobre, dove finalmente si è iniziato a parlare di competitive green transition e l’accordo raggiunto sulla revisione della legge sul clima dimostrano che è possibile affrontare queste materie con buon senso”.

Lo stesso Séjourné ha precisato che “abbiamo introdotto una clausola di salvaguardia sul settore dell’acciaio e sollecitiamo una rapidità del trilogo affinché venga approvata”: “L’acciaio italiano – ha spiegato il commissario Ue – è di interesse generale ed europeo. Il dialogo con il mondo siderurgico deve essere franco e ci vuole una strategia di re-industrializzazione. La Commissione Ue è stata spesso criticata per i suoi target di decarbonizzazione ma l’obiettivo oggi è di creare flessibilità e sostegno all’industria dell’acciaio”.

Di tempi e procedure aveva parlato poco prima anche Fitto, sostenendo che “flessibilità è la parola chiave su cui confrontiamo le prospettive di sviluppo e crescita a livello europeo. Non è possibile approvare misure da rispettare nell’arco di 5-6 anni, in altri contesti“. Un tema, quello dei tempi, che secondo Orsini tocca da vicino anche l’Italia e l’attuale disegno di legge di Bilancio e in particolare una misura per le imprese: ”Per spingere alla competitività è ovvio che bisogna fare in modo che investano. Ma l’iper-super ammortamento non può essere solo annuale, nel 2026, ma di prospettiva, almeno da qui a 3 anni”.

mariaelena.ribezzo

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