L’Unione europea dal 1995 al 2023 è cresciuta a due velocità e le regioni italiane hanno perso terreno rispetto alle locomotive dell’Unione europea: è un tratto che accomuna tutte le realtà del nostro Paese, da Nord a Sud. Ecco cosa emerge da un’elaborazione Withub su una ricerca di Paolo Maranzano, docente dell’Università degli studi di Milano-Bicocca, e Roberto Romano, economista di EStà, dal titolo ‘Regioni italiane verso regioni europee: i fattori della mancata convergenza’ pubblicata su ‘Moneta e credito’ (v.78, n.310). L’analisi è stata presentata nel corso dell’evento Connact Industry & Market 2025, organizzato da Connact, la piattaforma di eventi che favorisce il confronto tra soggetti privati e istituzioni attraverso momenti di incontro e networking, in collaborazione con il Parlamento europeo.
Pil e competitività. Considerando il Pil pro capite (indicatore che misura il reddito prodotto ed è collegato alla competitività dell’industria europea), se nel 1995 le regioni italiane erano sostanzialmente allineate a quelle europee, dopo quella data è cominciato un lento ma costante declino, in particolare se confrontato con le economie di Francia, Germania e Spagna. Nel 1995, ad esempio, la provincia di Bolzano guidava le regioni italiane nel Pil pro capite ed era in 7° posizione in quella che sarebbe poi diventata l’Eurozona, mentre la Lombardia era al 14° posto. Nel 2023 le ritroviamo rispettivamente al 12° (-5 posizioni) e al 33° posto (-19 posizioni) nella classifica (il confronto è reso possibile grazie al calcolo dei prezzi costanti che permette di rendere i dati confrontabili tra loro su lunghi periodi). E il paragone diventa ancora più negativo se si prende in considerazione l’intera Unione europea: la Lombardia ha perso 25 posizioni e la provincia di Bolzano 13. Le regioni italiane, quindi, sono ben lontane dai livelli raggiunti dalle migliori regioni europee: le irlandesi Southern e Eastern and Midland (2° e 3° dopo Lussemburgo), la danese Hovedstaden (4°), la regioni di Stoccolma (5°), Bruxelles (6°) e Amburgo (7°). La seconda regione tedesca che troviamo è Oberbayern (9°). In questa analisi emerge, inoltre, che le regioni che hanno faticato di più a mantenere il passo nel Pil pro capite sono l’Umbria con 72 posizioni perse nell’area euro, il Piemonte con 48 posizioni dal 1995 al 2023 e il Lazio con -42.
Rapporto tra investimenti in R&D e PIL. Lo stesso trend in calo si registra anche in altri indicatori, come gli investimenti in ricerca e sviluppo in percentuale sul Pil su base regionale. In questo caso il confronto è possibile per il periodo 2003-2021 ed emerge che l’unica regione ad aver tenuto il passo è l’Emilia Romagna che pur in presenza di un aumento degli investimenti in R&D rispetto al Pil (dal 1,19% del 2003 al 2,16% del 2021), ha perso in Europa 5 posizioni in classifica. La Lombardia ne ha perse 70, passando dalla 59° alla 129° posizione (% di R&D in rapporto al Pil dal 1,11% al 1,29%). La peggiore è la Basilicata, che ha perso 100 posizioni a causa di un investimento in R&D comunque passato dallo 0,46% allo 0,54% rispetto al Pil. Indice di intensità tecnologica. Un indicatore interessante per l’industria è quello dell’intensità tecnologica, che misura il rapporto tra spesa in ricerca e sviluppo e investimenti e viene considerato utile per capire quanto gli investimenti siano dedicati ad innovazione. In questo caso, l’Emilia-Romagna, ha guadagnato 4 posizioni nella zona euro, dalla 55° alla 51°, mentre tutte le altre hanno perso terreno: dall’Umbria (-57 posizioni) fino alla Basilicata (-70 posizioni).
L’evento è stato l’occasione per affrontare a partire dal quadro delineato dall’analisi le grandi sfide dello sviluppo industriale e del rafforzamento del mercato interno, temi cruciali per garantire all’Italia e all’Unione europea la capacità di produrre ricchezza e benessere per i propri cittadini, tanto più in un contesto globale caratterizzato da incertezze, conflitti e tensioni commerciali. Si è parlato di Clean Industrial Deal, il piano strategico dell’Unione Europea per rendere l’industria europea più competitiva e sostenibile, promuovendo la decarbonizzazione e l’economia circolare, e di Single Market Strategy, la strategia dell’Unione Europea che mira a rafforzare e sbloccare il pieno potenziale del mercato unico europeo, eliminando le barriere esistenti e promuovendo la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone segnano la rotta da seguire.
E sul recepimento delle normative europee Paolo Fantoni, Vicepresidente Vicario di FederlegnoArredo ha detto: “Il recente voto del Parlamento Europeo sul pacchetto Omnibus ha evidenziato un orientamento dell’Unione europea a rimodulare le politiche per la transizione ecologica delle produzioni industriali. Per noi questa è certamente una svolta positiva e auspicata che risponde non soltanto a una serie di attenzioni sui processi industriali, ma che deve partire da un’analisi anche delle semplificazioni in ambito burocratico che molto spesso sono state trascurate, non essendo state le normative frutto di una concertazione auspicata dalle nostre aziende”. Sul Green Deal, invece, Marco Granelli, Presidente di Confartigianato Imprese, ha detto: “Ricercare l’equilibrio tra competitività e sostenibilità è secondo noi la via maestra per la transizione e in questo senso apprezziamo lo sforzo della Commissione, ma vogliamo ricordare che la decarbonizzazione deve essere accompagnata da un rafforzamento della politica industriale, serve un’allocazione di risorse per supportare transizione”. Granelli inoltre sottolinea la necessità che le politiche europee guardino non solo alle grandi imprese, ma anche a quelle micro e piccole che, ricorda il Presidente, “valgono più de 94% del nostro tessuto economico e sono quelle imprese che scelgono di restare agili e resilienti e spesso fortemente legate ai territori”.
Sulle necessità per il raggiungimento di un mercato unico europeo è intervenuto Carmelo Di Marco, Vice Presidente del Consiglio Nazionale del Notariato: “Il mercato unico europeo ha bisogno di tre pilastri: l’armonizzazione delle regole, la loro semplificazione in vista dell’obiettivo, della competitività. I notai italiani e i notai europei sono convinti di poter dare un contributo per la realizzazione di tutti questi tre obiettivi attraverso un sistema di regole armonizzato che faccia salvi i controlli e l’affidabilità dei dati. E che, possibilmente, consenta l’adozione di un unico modello continentale anche per quello che riguarda l’armonizzazione dei registri” Fra gli ospiti anche Gianfrancesco Romeo Dirigente generale DG Consumatori e Mercato del Ministero delle Imprese e del Made in italy e Gabriele Scabbia del Dipartimento Politiche per le Imprese del Ministero delle Imprese e del Made in italy, Salvatore D’Acunto, Capo unità DG GROW E.2 della Commissione europea. Tra i promotori dell’iniziativa Confartigianato Imprese, Consiglio Nazionale del Notariato e FederlegnoArredo.
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