Una normativa meno stringente in termini di vincoli paesaggisti, un grande piano energetico europeo di lungo periodo, un impegno anche personale verso una transizione energetica che sia concretamente realizzabile. Sono gli spunti offerti in un’intervista a GEA dall’avvocato Maurizio Bortolotto, socio fondatore dello Studio Gebbia Bortolotto Penalisti Associati, componente di numerosi organismi di vigilanza di aziende nazionali e multinazionale ed esperto di diritto penale d’impresa, con particolare riguardo ai sistemi di governance e compliance e alle implicazioni relative alle responsabilità derivanti dal D.lgs. 231/01, ai reati contro la pubblica amministrazione, alla materia della sicurezza sul lavoro e alla tutela ambientale.
Le leggi a difesa dell’ambiente sono viste come un po’ come vincolo allo sviluppo, è davvero così?
“Secondo me, al contrario, sono state un volano perché, a partire dalla normativa dell’ambiente e sicurezza, hanno profondamente cambiato la nostra industria, e l’hanno cambiata dall’interno. Gli anni ’70 ’80 ’90 sono stati quelli dell’amianto, gli anni di una industrializzazione molto forte, molto selvaggia, si può dire senza regole. Secondo me la domanda da porsi ora è quale modello di sviluppo vogliamo avere noi da tramandare anche ai nostri figli. Tutti i sistemi di certificazione, Uni-Iso 14.001 per l’ambiente, Uni-Iso 45.001 per la sicurezza, hanno indubbiamente migliorato la gestione integrata, non posso pensare che siano stati un freno. E’ vero anche però che una deregolamentazione sarebbe possibile, come fanno alcuni Paesi non europei, penso in primis alla Cina, però con il rischio di grandi disastri ambientali”.
Esiste quindi una sintesi tra transizione ecologica, difesa dell’ambiente, costi sociali ed economici?
“Lavorando molto nel settore dell’energia quello che stupisce non è il progetto di una transizione energetica ma come è stato impostato. Perché noi dobbiamo pensare a un mondo in cui le persone siano al centro: allora, ad esempio, la fine dei motori endotermici imposta per legge è una cosa che probabilmente riuscirà a fare la California ma nessun altro al mondo. E questo crea un problema dal punto di vista industriale molto grave, perché noi non abbiamo strutture per realizzare macchine elettriche, mentre i cinesi sì. E questo, a sua volta, crea un problema di concorrenza: rischiamo di distruggere l’industria europea per favorire un’industria straniera con una ricaduta sui posti di lavoro molto significativa. Ma soprattutto, quello che sta emergendo in quest’ultimo periodo, è il rischio che si tratti di una transizione che favorisca prettamente la upper class: una persona non particolarmente abbiente non può comprarsi un’auto elettrica con i costi di oggi. Mi sembra una rivoluzione energetica che ha un impatto sociale non indifferente per una certa fascia di popolazione”.
E quindi?
“Io credo che si possa e si debba attuare una riconversione energetica, ma questa ha dei costi e sono dei costi che dobbiamo affrontare tutti insieme, perché se no diventa discriminatorio. Io ricordo sempre che la guerra in Ucraina ha portato alla riapertura delle centrali a carbone. Però nessuno ne parla, perché in questo momento non si può fare diversamente. E tra l’altro continuiamo a vivere sempre meglio, ad avere sempre condizionatori più potenti, macchine più potenti… Tutto questo ha dei costi energetici molto forti che non sono compatibili con la visione dell’ambiente che ci viene prospettata. Bisogna far pace con questa cosa. O si accetta una società con meno privilegi, ma forse più tollerante del sistema ambientale in generale, della salute di tutti noi, oppure bisogna capire che più consumiamo più costiamo”.
Da questo punto di vista il diritto come può agire?
“Il diritto può agire nel momento in cui il legislatore ha le idee chiare, se no qualunque norma è sbagliata, perché è falsata da un’errata interpretazione della realtà. Quindi io dico che ci vuole un grande piano energetico europeo di lungo periodo, che non è fatto a vent’anni. Bisogna avere una prospettiva a cinquant’anni”.
L’Europa sta portando avanti il ‘green deal’…
“Sì ma pensiamo alla direttiva sulle case green: non mi pare una normativa che sia applicabile alla realtà italiana perché non si può andare dalla gente che guadagna 1.200 euro al mese e dire che nei prossimi dieci anni deve investire 30.000 euro l’anno per rendere la casa ecocompatibile. È surreale questa richiesta”.
Secondo lei questa corsa al green rischia di costringere le aziende a fare greenwashing?
“Il vero problema è che i parametri non sono codificati. C’è la necessità di regolamentare questo settore con una normativa europea che deve valere per tutti. E che forse c’è già, come dicevamo, ma dovrebbe essere unificata e i criteri dovrebbero essere certi e applicabili a tutti. Soprattutto, devono essere accessibili a step, con un programma di lungo corso. Diversamente ognuno può dire di essere green a modo suo”.
Il vostro studio ha messo a punto una strategia Esg.
“Abbiamo fatto una riflessione seria che ha rappresentato un costo per noi. Tra le policy introdotte figurano quelle mirate a ridurre al minimo l’impatto dell’attività professionale sull’ambiente; a tutelare gli interessi dei propri clienti attraverso l’utilizzo di applicativi e sistemi digitali per la condivisione delle informazioni relative alle pratiche; a favorire il work-life balance dei collaboratori e dipendenti; e a sostenere, in maniera concreta, progetti dedicati al supporto delle categorie più deboli. Dal punto di vista ambientale abbiamo introdotto bottiglie di vetro, abbiamo introdotto sulla mobilità sostenibile una parte dove si consiglia ove possibile di utilizzare dei sistemi alternativi. Cerchiamo di stampare il meno possibile su carta”.
A livello generale, secondo lei la normativa ‘ambientale’ dovrebbe essere meno stringente?
“L’unico vincolo che metterei è quello idrogeologico perché in Italia è un problema. Vi sono vincoli paesaggistici molto datati nel tempo e che hanno una forte matrice ideologica. Io cercherei di essere un pochino più pragmatico. Ma anche qui, attenzione: non è che le alluvioni o i disastri ambientali che abbiamo visto in questi anni sono stati causati da campi fotovoltaici o da campi eolici. Sono stati dettati da uno sviluppo di piani regolatori dissennati o dalla mancata pulizia dell’alveo dei torrenti. Il tema, quindi, è quello di concentrarci su quello che ha veramente bisogno il Paese oggi evitando facili suggestioni o mode passeggere che spesso sono slegate dalle reali esigenze delle collettività”.
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