Decarbonizzare il trasporto marittimo costerà 3 trilioni di dollari. Ma la strada è tracciata

Tre trilioni di dollari. A tanto ammontano gli investimenti necessari ad arrivare alla totale decarbonizzazione dei trasporti marittimi. I tempi per la transizione green del settore, anche se si stanno facendo “importanti sforzi”, possono essere “lunghi e sono necessari enormi investimenti”. E’ quanto emerge dal decimo rapporto annuale ‘Italian Maritime Economy’ a cura di Srm (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo). Il trasporto marittimo, infatti, produce il 2,19% di CO2. Un valore “che non sembra particolarmente elevato se non fosse per tre elementi essenziali, che hanno la capacità di condizionare il mercato e trasformarlo: lo shipping a livello mondiale trasporta il 90% delle merci, è un settore capital intensive i cui investimenti di lungo periodo condizionano il futuro ed è fortemente concentrato, per cui le azioni dei big player hanno la possibilità di orientare i mercati”.

I CARBURANTI DEL FUTURO. Nel medio termine, per gli analisti, si può prevedere una progressiva sostituzione del Gnl con il biometano, ammoniaca e, a lungo termine, l’idrogeno “perché più sostenibili e dal minor impatto ambientale”. E anche se “non è ancora definita la scelta del carburante alternativo del futuro”, il settore marittimo è sulla strada giusta.

A luglio 2023 le navi in ordine (in termini di GT) con carburante Gnl rappresentano il 39% del portafoglio ordini; quelle a metanolo il 5,4%; a Lpg il 2,1%; ad altri carburanti alternativi (idrogeno, etano, biofuel, batterie), il 2,8%. Inoltre il 7,7% dell’orderbook riguarda navi ammonia ready (pronte cioè ad utilizzare l’ammoniaca non appena la tecnologia lo consentirà). L’individuazione del carburante alternativo, spiega il rapporto, “è determinante anche per i porti che già stanno realizzando investimenti in infrastrutture che potranno consentire il bunkeraggio”. Diventa questo “un vantaggio strategico perché in tal modo i porti saranno in grado di attrarre nuovi traffici”. Attualmente sono 169 i porti attivi per il bunkeraggio di Ggn (e 95 le strutture in progetto).

IN CINQUE ANNI ITALIA HUB MEDITERRANEO DEL GAS. La spinta verso la transizione ecologica e l’utilizzo di fonti alternative, è l’analisi del rapporto, “contribuirà in futuro a ridurre la domanda di prodotti petroliferi a vantaggio di forme green”. Per il nostro paese molte delle iniziative “devono tener conto dell’attività dei porti che possono diventare dei veri e propri “hub energetici” per lo stoccaggio e/o produzione di Gnl, biocarburanti, idrogeno”.  Si stimano 5 anni per fare dell’Italia il ponte Mediterraneo del gas attraverso 7 rigassificatori in prossimità dei porti e 5 gasdotti da sud volti a far transitare circa 50 miliardi di metri cubi di GNL e fino a 90 miliardi di gas (a pieno regime) per un totale di 140 mld.

LA DIGITALIZZAZIONE DEL SETTORE. Ma c’è un altro strumento “essenziale” per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, che è, secondo il rapporto, la digitalizzazione del settore“. Il World Economic Forum ha stimato l’impatto nei prossimi 10 anni dell’applicazione della tecnologia digitale nell’industria logistica che si può quantificare nella creazione di 2 milioni di occupati e nella riduzione delle emissioni di carbonio pari a 10 milioni di tonnellate. Il mercato globale della digitalizzazione marittima è stato valutato in 157,4 miliardi di dollari nel 2021 e si prevede che raggiungerà i 423,4 miliardi di dollari entro il 2031, con una crescita del 10,7% dal 2022 al 2031. È questo lo strumento, spiegano gli esperti, “per ottimizzare i risparmi e migliorare tempi e qualità”.

Elena Fois

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