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Industria, Gozzi: “Non c’è più tempo, l’Ue deve cambiare. Ma sono pessimista”

Il Rapporto Draghi sulla Competitività ha avuto una cassa di risonanza enorme sull’Europa un anno fa. Dodici mesi dopo, sembra essere rimasta solo la eco, o quasi. Lo stesso ex presidente della Bce, su invito della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha fatto il punto sullo stato delle cose dalla pubblicazione di quel documento, notando e annotando che molti dei punti sono rimasti ancora nella lista delle cose da fare. Con tanto di aumento a 1.200 miliardi di euro del conto delle risorse necessarie a realizzarle. “Il problema è che le cose devono accadere o è finita anche la funzione di stimolo di Draghi, che non può ogni sei mesi dire all’Europa ‘fate qualcosa’. Questo è il vero nodo”. A dirlo è il presidente di Federacciai e Special Advisor di Confindustria per l’Autonomia strategica europea, Piano Mattei e competitività, Antonio Gozzi, che a GEA commenta, a mente fredda, l’intervento dell’ex premier.

Presidente Gozzi, come giudica il quadro disegnato da Draghi?

In termini di analisi facciamo un grosso passo avanti, nel senso che una persona così autorevole, con questa reputazione e questa credibilità, dice ciò che noi sosteniamo da anni: questo ci rincuora perché non eravamo proprio fuori strada, ma se qualcuno ci avesse ascoltato, probabilmente avremmo perso meno tempo. Colpisce il fatto che inizialmente Draghi disse che ci volevano 500 miliardi all’anno per recuperare il gap, poi al Parlamento disse che ci sarebbero voluti 800 miliardi, mentre ieri ha parlato di 1.200 miliardi di euro l’anno. Questo significa che il fattore tempo non è neutrale, cioè la distanza continua ad aumentare e l’ex Bce all’Europa dice che non c’è più tempo”.

In molti punti è sembrato di sentire le voci degli imprenditori italiani, e anche la sua.

Draghi è molto critico sul Green Deal, dice che i presupposti sulla base dei quali è stato pensato e disegnato non ci sono più, che il mondo è cambiato. Inoltre, dice una cosa molto forte sul 2035, che bisogna garantire transizione energetica e decarbonizzazione fatti secondo la neutralità tecnologica, quindi che i motori endotermici, i plug-in, gli ibridi e i motori endotermici con biocarburanti e combustibili sintetici sono da lui sdoganati. Il fatto che sostenga queste cose è molto importante, ma non ha lui in mano le leve delle decisioni. Purtroppo, se vedo questo anno di governo von der Leyen II, sono usciti documenti in cui si faceva formale ossequio al rapporto Draghi, al tema della competitività e anche della neutralità tecnologica, poi però non c’è stato niente. Solo un po’ di semplificazione, con l’eliminazione degli obblighi di rendicontazione dei bilanci di sostenibilità per le piccole imprese, poi basta”.

Cosa prevede per il futuro?

Sono pessimista, perché in questo anno, al di là dei proclami, vedo un immobilismo totale. Di misure vere non ne sono state prese, si continua con questo tran tran e nella migliore delle ipotesi si va avanti a comprare tempo. Adesso vedremo cosa succederà sull’auto”.

L’Automotive resta uno dei temi più caldi in Europa, con il dibattito sullo stop ai motori endotermici al 2035 che riprende quota.

Draghi ha detto chiaramente che è sbagliato e ha avuto il coraggio di dire che hanno disintegrato un’eccellenza industriale europea. Mi ha colpito molto anche ciò che ha detto il presidente dell’Associazione europea dell’indotto automobilistico: nel 2025 il settore, in Europa, ha perso 80mila posti di lavoro e stimano che ne perderanno altri 20-30mila nel 2026. Questo vuol dire che in due anni, solo sull’indotto automobilistico, si saranno persi 100mila posti di lavoro. Poi si stupiscono che gli operai della Volkswagen votano Afd”.

Questo è un argomento interessante.

Se i temi dell’industria e degli effetti economici e sociali non interessano più a nessuno, e in particolare non interessano ai partiti socialisti perché sono tutti innamorati di Greta Thunberg, non ci si può lamentare che estremismi di sinistra e di destra stiano prevalendo in Europa. I non tutelati esprimono un dissenso di soddisfazione nei confronti di questa politica. In più, abbiamo questa aggressione cinese con prodotti ormai di altissima qualità tecnologica, a prezzi scottati del 30%, nei confronti dei quali l’Europa non riesce a difendersi. Spesso li fanno con le sovvenzioni dello Stato, quindi si rendono protagonisti di una competizione sleale nei confronti dell’industria europea”.

La situazione sta sfuggendo di mano?

Senza sistema industriale non esiste più il Welfare. Arrivo a dire che senza sistema industriale non esiste manco più la democrazia, perché gli estremismi di destra e di sinistra diventano talmente radicali che c’è anche al rischio di sommovimenti politici. Anzi, li stiamo rivedendo in Francia. In Germania non hanno coraggio di andare alle elezioni (anche se la Grosse Koalition è un elemento di blocco, perché i socialisti alcune cose non le vogliono fare) perché c’è il rischio che l’Afd sia il primo partito e in Olanda vinceranno i sovranisti di destra. Ciò che mi colpisce è che non c’è mai un accenno autocritico di chi ha gestito l’Europa negli ultimi 10-15 anni. Non voglio colpevolizzare nessuno, però l’autocritica serve per cercare di capire dove si è sbagliato e provare a non sbagliare più in futuro”.

Draghi, però, parla anche di energia ancora a prezzi troppo alti come freno per la competitività.

Non è successo niente sull’acciaio, nonostante sia uscito il documento sull’acciaio, e non è successo niente sull’energia, nel senso che continua a essere cara. Anche lì c’è un tema molto chiaro, Draghi non si è spinto fino là, ma io l’avrei fatto. Siccome in tutta Europa il prezzo dell’elettricità è determinata col sistema del marginal price, quindi vuol dire che il costo del megawatt è determinato dal costo della centrale turbogas più inefficiente, per l’order merit, questo metodo di calcolo del prezzo dell’elettricità porta in sé 25 euro di effetto ETS. Draghi ieri ha parlato di disaccoppiamento, ma questa è una norma assolutamente europea. Basterebbe eliminare transitoriamente l’ETS dai turbogas e immediatamente l’energia elettrica in Europa costerebbe 25 euro al Megawattora in meno. Ma non hanno il coraggio di farlo, perché il tema dell’ETS è un tabù. La proposta di Confindustria, che vede anche Elettricità Futura d’accordo, è dare i 20 Twh degli impianti a fondo corsa per gli incentivi al GSE, al presso di 65 euro al MWh, cioè quello dell’Energy Release, per ampliarne la potenza di fuoco, facendo un’operazione equilibrata dal punto di vista anche del climate change e della decarbonizzazione”.

Nell’elenco degli ostacoli c’è da mettere anche l’accordo sui dazi Usa, non trova?

Abbiamo anche la beffa: nell’accordo fatto con Trump sui dazi c’è scritto che le imprese americane, in Europa, non sono tenute a rispettare quella norma sul CS3D”.

In questo scenario, l’Italia che ruolo può svolgere?

Siamo il secondo Paese industriale d’Europa, godiamo di una stabilità di governo che tutti ci invidiano e ci ammirano nel casino generale che c’è in Europa. Però, la stabilità non è un fine ma un mezzo e deve servire a fare qualcosa. Al tavolo europeo l’Italia deve rivendicare la forza del suo sistema industriale, la necessità di cambiare strada sulle politiche industriali e lo deve fare senza titubanze. In questo momento godiamo di una finestra che non abbiamo mai avuto. Bisogna sfruttare questa credibilità e questa reputazione per cercare di cambiare i destini europei. Poi si farà la battaglia e si perderà, magari. Però vale la pena giocare questa partita”.

Chiudiamo con una buona notizia, perché i dati di Federacciaio dicono che la produzione di acciaio in Italia è aumentata del 7,3% ad agosto e del 3% nei primi 8 mesi del 2025.

Guardiamo al 2026 con relativo ottimismo, pensiamo che non sarà un anno brutto. Abbiamo goduto del Pnrr, perché i grandi investimenti infrastrutturali hanno generato domanda d’acciaio, soprattutto nei prodotti lunghi, come travito e cemento armato, però non c’è solo quello. In questo momento c’è un po’ di rimbalzo di domanda, i clienti tornano ad acquistare, ma questo lo fanno quando pensano che domani il prezzo salirà. Gli acquisti e l’aumento di produzione derivano da un aumento della domanda e i clienti stanno andando a scale di anticipazione degli acquisti, perché prevedono che i prezzi domani saranno più elevati. Naturalmente, ci sono fattori geopolitici internazionali che sono imponderabili, ovvero le due guerre. Pensi cosa succederebbe se si fermassero i due conflitti, con le esigenze di ricostruzione che ci sono in Ucraina, in Medio Oriente e altrove. Cosa significherebbe in termini di domanda d’acciaio”.

dario.borriello

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