Il contesto sociale nel quale vivono le giovani generazioni è teso, contrappositivo, con criticità sociali emergenti. Uno scenario che – secondo la ricerca ‘Benessere e sostenibilità’ realizzata da Eumetra e che coinvolge ogni anno un campione di 3mila individui – ha delle conseguenze problematiche sul piano della sostenibilità. Remo Lucchi, presidente advisory board di Eumetra ha presentato la ricerca in occasione dell’evento ‘Giustizia tra generazioni e Costituzione‘ organizzato a Roma da ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) per celebrare il secondo anniversario dell’inserimento in Costituzione del principio di “giustizia intergenerazionale” alla base del concetto di sviluppo sostenibile.
Professor Lucchi, la vostra tesi è che senza un benessere diffuso tra le giovani generazioni non ci può essere sostenibilità, intesa nella sua componente etica ed ambientale.
“Rispetto alle generazioni anche solo di 20 anni fa, le nuove hanno studiato di più: l’80% fino alle medie superiori. E in qualche misura hanno desiderato di poter essere protagonisti nella società. Ma per far sì che ciò avvenga bisogna completare gli studi, e invece solo 1 su 3 si è iscritto all’università”.
Sta dicendo che non si studia a sufficienza?
“Dico che completare gli studi porta a due risultati: uno è la capacità di reagire durante le difficoltà, l’altro è l’acquisizione di senso civico e di etica. Le giovani generazioni invece non solo non hanno conquistato questi due ingredienti evolutivi, ma hanno vissuto momenti di crisi come la globalizzazione e le crisi finanziarie. Così sono caduti nel precariato, poi è arrivato il lockdown post Covid e hanno finito per sentirsi ai margini e abbandonati dalla società”.
Questo cosa comporterebbe nei giovani?
“Secondo le nostre analisi sono diventati poco interessati anche a problemi internazionali come la guerra in Ucraina o la situazione in Medio Oriente. Sono semplicemente persone che non vivono in una situazione di benessere e senza un benessere diffuso anche i temi della sostenibilità – etica e ambientale – finiscono nel dimenticatoio”.
Secondo la ricerca lo sviluppo sostenibile oggi interessa solo il 39% dei giovani contro il 79% degli adulti. Fridays for future dunque cos’è stata, un’illusione?
“Dobbiamo fare una distinzione: i giovani che hanno studiato e si sono formati hanno sviluppato un senso civico, etico e dunque sono sensibili ai temi della sostenibilità e del futuro. Semplicemente, sono una minoranza. Mentre la maggior parte vive in una condizione che noi chiamiamo di contrapposizione. Il problema è che questo fenomeno non è stato capito”.
L’Italia investe troppo poco sulla scuola e sull’istruzione?
“Credo ci sia un problema anche all’interno della scuola stessa. Oggi formiamo ragazzi con l’incubo, e non con la creatività, della scuola. Dalle ricerche sociali che curo da decenni posso dire che la cultura è l’unico ingrediente evolutivo che abbiamo. La vita va avanti solo se c’è relazionalità positiva”.
Dovremmo aumentare la durata della scuola dell’obbligo?
“No, la scuola non deve essere obbligatoria, ma desiderabile da tutti. Deve motivare i giovani a studiare, perché la vera ricchezza è la cultura”.
Le società con più cultura e scolarizzazione sono anche più sostenibili?
“Certo, per definizione. Sono società che hanno un progetto per il futuro”.
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