In Italia sono sempre più numerose le aziende che investono in pratiche di economia circolare. Ma per una transizione davvero completa sarà necessario scalare la taglia degli investimenti verso l’alto. Lo dicono i dati d’anteprima del Circular Economy Report dell’Energy&Strategy della school of management del Politecnico di Milano, che da tre anni monitora gli investimenti delle imprese in Italia. Nel 2022 il 57% delle aziende ha adottato almeno una pratica di economia circolare. Nel 2021 erano il 44%. Tra chi non ha ancora implementato pratiche circolari – dicono i primi dati del report – il 65% del campione non ha dimostrato interesse nell’adottarle in futuro. “Il bicchiere è mezzo pieno, certo” dice Davide Chiaroni, cofondatore dell’Energy&Strategy e coordinatore dell’indagine, “Ma attenzione: le prime pratiche ad essere adottate sono sempre anche le più semplici, e con un ritorno di investimento più breve. Per una transizione completa, invece, avremo bisogno di interventi di portata decisamente maggiore”.
Ad oggi, la maggior parte degli interventi è supportata da investimenti di taglia non grande (fino a 50 mila euro e tra i 50 e 150 mila euro). I tempi di ritorno degli investimenti in più della metà dei casi sono compresi in 24 mesi. La pratica più diffusa è il riciclo di prodotti e di componenti, adottata dal 61% del campione. Nella classifica dei macrosettori più interessati da interventi di circular economy spiccano tessile e food & beverage. Rispettivamente l’82% e l’80% delle aziende di questi settori hanno implementato almeno una pratica manageriale di economia circolare. Seguono mobili e arredamento, impiantistica industriale, costruzioni e infrastrutture e automotive. Molto distanziato il comparto dell’elettronica di consumo, con poco più del 15% delle aziende coinvolte. Un aspetto ancora da esplorare in Italia è poi la partecipazione delle aziende a ecosistemi di simbiosi industriale, dove, cioè, l’interazione fra stabilimenti produttivi diversi porta a massimizzare il riutilizzo di materiali altrimenti considerati come scarti, al fine di risparmiare in termini di CO2 prodotta e di consumi energetici.
A questi ecosistemi partecipa solo il 18% del campione analizzato dal report. “Ci sono ancora grandi margini di opportunità”, dice Chiaroni riferendosi anche al supporto del Pnrr. Considerando i Paesi che più hanno beneficiato di fondi europei dedicati alla transizione ecologica, l’Italia ha la quota più alta riservata all’economia circolare; 2,1 miliardi di euro, contro 1,2 della Spagna e gli 0,6 su cui può contare la Francia. “Da quest’anno inoltre” conclude Chiaroni, “l’Italia si è dotata della strategia nazionale per l’economia circolare, che delinea strade corrette e inizia a disegnare un percorso che guarda all’economia circolare in maniera organica. Vedremo ora come sarà implementata”.
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