L’anno che verrà tra effetto Trump, Clean Industrial Deal e clima impazzito

Gli avvisi di Donald Trump e le ‘promesse’ di Vladimir Putin, il nuovo posizionamento dell’Unione Europea sui temi del Green Deal, il fattore Cina, la situazione di Stellantis e dell’automotive, il cambiamento climatico tra ondate di calore, alluvioni e siccità, la Cop 30 in Brasile. Si potrebbe continuare ancora a lungo mettendo insieme tutti i puntini dell’anno che sta arrivando e che tra un anno passerà, ma è fuori discussione che il 2025 – per cosa ha rappresentato il 2024 – non sarà nulla di normale e nulla di scontato.

La situazione geopolitica si interseca con la situazione climatica, le logiche energetiche viaggiano a braccetto con quelle ambientali e quasi mai si trovano in sintonia. Il nuovo presidente degli Stati Uniti, ad esempio, nel suo decisionismo compulsivo rappresenta paradossalmente un’incognita per il mondo e, segnatamente, per l’Europa. Ha già detto in campagna elettorale che ri-uscirà dagli accordi di Parigi (determinanti per evitare il surriscaldamento del pianeta) e ha già ammonito la Ue che se non ci sarà la fila per comprare gas e petrolio a Washington e dintorni applicherà i dazi. La domanda, non proprio marginale, è una sola: lo farà veramente? Perché tra agire come da promesse fatte a non agire o agire solo in parte passa abbastanza del nostro destino. Nel mentre – a prescindere dagli sviluppi della guerra in Ucraina – Putin non sta a guardare come le stelle di Cronin. Con l’energia fossile giocherella da qualche anno e la notizia che il gas non passerà più dal corridoio ucraino ha contribuito a farne rialzare la quotazione al Ttf di Amsterdam. E tanti saluti alle bollette. Di questa sua forza, lo zar russo è consapevole: in fondo, cosa non vende all’Europa lo vende alla Cina e i conti (a lui) tornano sempre.

L’energia sarà uno dei grandi temi del 2025. L’Italia non è messa benissimo dal momento che i costi sono nettamente superiori rispetto agli altri competitor continentali, ovvero Francia e Germania: la prima spreme il nucleare come un limone e la seconda non si fa scrupoli con il carbone. La soluzione più indolore dovrebbe essere un mix energetico capace di coniugare rinnovabili, nucleare, idrogeno, biocarburanti e fossili. Perché – Giorgia Meloni dixit – di gas per ancora molto tempo si dovrà campare. E qui si innesta il discorso del Piano Mattei, che dopo essere stato strombazzato va messo a terra in maniera definitiva: l’Africa non deve essere teatro di azioni predatorie, giusto, ma la sensazione è che, poco alla volta, quello slancio tra buoni propositi e interessi spiccioli sia un po’ scemato. A dar credito al Governo, del nucleare (di quarta generazione) non si può più fare a meno: però ci sono due referendum da bypassare e il forte scetticismo di parte dell’opposizione. Fiutando l’aria, non sarà una passeggiata di salute.

Grazie ai suoi sforzi, l’Europa produce solo il 6,4% delle emissioni di gas serra del mondo: ma la medaglia d’oro della decarbonizzazione (Usa, Cina, India, Australia se ne infischiano abbastanza) non può essere figlia illegittima di sacrifici fuori dalla logica. E qui si innesta il cambio di passo che la realtà impone alla nuova Commissione Ue: non a caso, il Green Deal conoscerà una seconda vita con il Clean Industrial Deal. In teoria, si dovrebbero perseguire gli obiettivi del net zero con più raziocinio e chiedendo una sponda alle aziende: insomma, non più imposizioni ma condivisione. Vedremo.

In cima alla lista delle grane di Ursula von der Leyen c’è il settore automotive, la cui crisi è legata in buona parte alla volontà di elettrificare anche i go kart e i tricicli per bambini. Ma non solo. E’ comunque plausibile che lo stop alla produzione di motori endotermici venga procrastinata oltre il 2035: proprio quest’anno si intavolerà la discussione tra Bruxelles e Strasburgo. Avanti, sì, ma piano. Lato Italia, la situazione di Stellantis non è risolta ma sembra meno pelosa dopo l’incontro romano del 17 dicembre: aspettando l’erede di Carlos Tavares e l’audizione di John Elkann in Parlamento, le prospettive sono più confortanti rispetto alle aspettative. Però incombe sempre la minaccia cinese, per batterie e materie prime. Che è tanta roba.

Boris, Helene, Yagi, Bebinca, Chido, Dana: sono i nomi di uragani, tempeste e fenomeni atmosferici che nel 2024 hanno sfregiato la Terra, causando morte e devastazione. Il climate change è sotto gli occhi di tutti, anche di chi non vuole vedere e strizza gli occhi per diminuire la portata dell’emergenza. In Italia, le alluvioni hanno martoriato il Nord: l’Emilia Romagna ha pagato il prezzo più alto, ma anche Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria, Trentino hanno sofferto eventi estremi. Situazione inversa al Sud, con la siccità che ha piegato molte regioni, in primis la Sicilia, poi la Basilicata. Eppure alla Cop 29 non si sono raggiunti risultati concreti, se non all’ultimo giorno con un accordo sulla finanza climatica contestato da molti. Lo sguardo è rivolto alla Cop 30, in Brasile, sperando che i grandi del pianeta non la snobbino come hanno fatto Biden, Xi Jinping, Macron, Modi. Avevano tutti faccende più importanti da sbrigare.

Valentina Innocente

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