Sarà di nuovo l’età dell’oro. Nero, però. Alle sei (abbondanti) della sera (italiana), Donald Trump annuncia al mondo ciò che molti si aspettavano e moltissimi temevano. Sbriciolerà il green deal e perforerà l’America fino a farla diventare una groviera pur di soddisfare il fabbisogno interno di energia e di vendere all’estero le eccedenze. Andrà pesantemente di trivelle, baby, e arrivederci (senza grazie) all’Accordo di Parigi dal quale gli Stati Uniti escono subito e nemmeno dalla porta di servizio. Nulla che non fosse ampiamente previsto anche se sentirlo così, dalla sua voce, con una determinazione quasi feroce, con l’uditorio che scatta in piedi ad applaudire, fa una certa impressione.
Tra la sicurezza nazionale, la lotta agli immigrati irregolari del confine Sud e persino la bandiera a stelle e strisce da piantare su Marte (c’è Musk in platea, vuoi mettere?), il 47° presidente Usa parla anche di dazi: li metterà, questo è certo, ma rispetto al tema bollente energia sta più sul vago, giusto un avviso ai naviganti, quasi un invito ai Paesi amici e nemici a trattare perché alla fine un’intesa commerciale si trova sempre. A essere sinceri, nemmeno i dazi sono un fulmine a ciel sereno per la platea degli uditori del Congresso e per i milioni di cittadini (americani e non) appiccicati con gli occhi e le orecchie alla tv. Ma, proprio come nel caso del green deal, l’annuncio scuote le coscienze come una frustata, in attesa di conoscere domani le ricadute sulle borse europee e asiatiche.
Il Trump Atto Secondo non è poi così diverso, almeno al suo incipit, dallo stesso Trump di otto anni fa. Diversa, semmai, è l’Europa. Assente a Washington nei suoi vertici più rappresentativi e presente solo con Giorgia Meloni. Bene, se da un lato il ‘riconoscimento’ della premier può solleticare l’orgoglio italico e titillare l’ormone del centrodestra, dall’altro pone la questione dirimente della consistenza specifica della nuova Unione europea. A fronte della politica che il neo presidente degli Stati Uniti vuole attuare immediatamente, con una serie di decreti da mettere subito in pratica, l’Europa non può stare a guardare, a pensare, a meditare, a escogitare una exit strategy per salvare le piume. Servono prese di posizione rapide e concrete, servono rimedi allineati e non drogati dagli interessi di ciascuno dei Ventisette, servirà verosimilmente scendere a patti con Trump e con la sua amministrazione. Lo ha detto Christine Lagarde che non conviene fare muro contro muro ma trovare un punto di caduta il meno doloroso possibile.
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