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“Il recente blackout in alcune zone della Spagna ha scatenato un’ondata di speculazioni che attribuiscono l’incidente a una “eccessiva dipendenza dalle energie rinnovabili” e alla “prematura eliminazione graduale” del carbone e del nucleare. È una narrazione che semplifica eccessivamente un sistema complesso e ne travisa le responsabilità”. Lo segnala il Crea, Centro internazionale di ricerca per l’Energia e l’aria pulita, analizzando quanto accaduto tra il 28 e il 29 aprile nella Penisola iberica che ha lasciato per ore senza corrente intere aree e causato enormi disagi a utenze domestiche, attività produttive e commerciali e sul traffico.
Ma secondo gli analisti del Crea, “dare la colpa di un blackout all’energia solare è come dare la colpa di una tubatura rotta all’acqua al suo interno”: la produzione variabile è una caratteristica naturale del solare e dell’eolico, non un difetto di progettazione. Il compito della rete è anticipare e gestire queste fluttuazioni. Quando non ci riesce, il problema risiede nella preparazione del sistema e nella risposta operativa, non nelle tecnologie che forniscono energia.
Il Crea, nella sua analisi, tenta di rispondere ad alcuni dei quesiti emersi dopo la fase emergenziale, sfatando anche alcuni ‘miti’ e smontando ‘fake news’. Alcuni commentatori hanno sottolineato la mancanza di inerzia o un insufficiente controllo della frequenza, insinuando che la spinta della Spagna verso l’energia pulita abbia lasciato la rete vulnerabile. “Ma questo trascura il fatto che la Spagna è da tempo consapevole di queste esigenze tecniche. La sua rete continentale include ancora una significativa capacità nucleare, idroelettrica e termica, che contribuiscono a mantenere la stabilità. E sebbene la Spagna abbia anche investito in condensatori sincroni, questi sono stati installati solo sui suoi sistemi insulari, non collegati alla rete della Penisola Iberica. Non hanno potuto essere d’aiuto in questo incidente, ma la loro esistenza riflette una più ampia consapevolezza di ciò che richiede l’affidabilità della rete“.
La causa esatta del grande blackout non è ancora nota. Tuttavia, in base al funzionamento dei moderni sistemi energetici, il Crea spiega che si può “ragionevolmente supporre” che rientri in una delle tre categorie più probabili: shock esterni, come condizioni meteorologiche estreme, attacchi informatici o sabotaggi; lacune nella pianificazione , in cui le condizioni prevedibili non sono state modellate adeguatamente; guasti operativi, in cui i sistemi non si attivavano o non funzionavano come progettato. “Nessuno di questi scenari giustifica l’attribuzione della colpa a una specifica tecnologia di generazione – spiegano gli esperti del think tank -. Anche se un calo improvviso della produzione di energia solare avesse avuto un ruolo, il problema principale risiederebbe comunque nella configurazione del sistema per rispondere. Le reti elettriche sono costruite partendo dal presupposto che esista una certa variabilità. Quando qualcosa va storto, dovremmo analizzare cosa ha compromesso la risposta, non cosa ha causato la fluttuazione”. Uno dei miti “più persistenti nel dibattito energetico” è che solo gli impianti a combustibili fossili possano garantire la stabilità di frequenza, aggiungono gli esperti. “In realtà, la regolazione della frequenza è un servizio, non una caratteristica intrinseca di una particolare tecnologia”. E può essere fornita da una vasta gamma di fonti, tra cui accumulo a batteria, volani, condensatori sincroni, risposta alla domanda, nonché impianti idroelettrici e persino alcuni impianti termici, se opportunamente configurati. Anche l’energia eolica rientra in questa gamma di strumenti. In diversi Paesi europei, i generatori eolici forniscono già una risposta in frequenza. Ma questo funziona solo quando le strutture di mercato li premiano.
“La vera questione non è solo la fattibilità tecnica, ma se il quadro normativo incoraggi un più ampio spettro di tecnologie a partecipare al bilanciamento del sistema”, spiega l’analisi del Crea. “Le reti moderne si assicurano questi servizi tramite contratti o aste di mercato, scegliendo i fornitori più convenienti e affidabili. A volte questo significa mantenere in funzione una centrale a carbone più a lungo del previsto. Altre volte, significa convertirla in un condensatore sincrono o installare nuovi sistemi di batterie. La chiave sta nelle prestazioni e nei costi, non nell’ideologia o nella nostalgia“. Tirando le proverbiali somme, l’analisi sottolinea che “non c’è dubbio che gestire un sistema elettrico con un’elevata quota di energie rinnovabili richieda una pianificazione e un coordinamento più complessi”. Ciò pone maggiore enfasi sulla flessibilità del sistema, su meccanismi di risposta rapidi e su previsioni avanzate. “Ma questo non è un motivo per abbandonare l’energia pulita. È un motivo per investire nella modernizzazione della rete. Quando si verifica un blackout, si è tentati di dare la colpa alle nuove tecnologie. Ma così facendo ci si distrae dal lavoro più importante: migliorare il modo in cui la rete è governata, come vengono integrate le risorse e come vengono valutati e acquisiti i servizi di affidabilità”. Insomma, conclude il Crea, la soluzione “non è preservare il vecchio sistema energetico per abitudine o paura”. Si tratta di progettare un quadro più adattabile e tecnologicamente neutrale per quello di cui c’è bisogno per il futuro. Solo una volta conclusa l’indagine si avranno informazioni più chiare, ma “una cosa è già chiara”, secondo il Crea: dare la colpa all’energia solare o eolica è prematuro e inutile: “Il vero banco di prova è se i gestori di rete e i responsabili politici stiano costruendo sistemi sufficientemente resilienti da adattarsi a un mix energetico in continua evoluzione”. Le tecnologie per l’energia pulita “non sono la causa dell’instabilità“. “La domanda è se le nostre reti e le politiche che le sostengono stiano tenendo il passo con il ritmo del cambiamento”.
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