Trovare soluzioni per l’indipendenza energetica dalla Russia è una priorità per l’Europa, dentro e fuori i confini dell’Unione Europea. La guerra in Ucraina sta aumentando la pressione anche sui Balcani Occidentali, la regione che aspira ad accedere nel prossimo futuro nell’Ue e che è alla ricerca di nuove forniture di gas per liberarsi dalla dipendenza russa. Una strategia che potrebbe rappresentare un punto di forza anche per il resto del continente, nonostante non siano da sottovalutare le complessità.
Per i Balcani questo discorso vale doppio. Mentre per l’Unione Europea la dipendenza dal gas russo si attesta mediamente attorno al 40%, alcuni Paesi della regione – come Serbia, Bosnia ed Erzegovina e Macedonia del Nord – dipendono quasi totalmente dal Cremlino. È per questa ragione che i Paesi balcanici sono scettici sulla possibilità che Bruxelles adotti un embargo sulle importazioni di gas dalla Russia. Non va dimenticato che il sesto pacchetto di sanzioni sta però creando per la prima volta tensioni e ritardi all’interno dei Ventisette: il premier ungherese, Viktor Orbán, guida il fronte dei contrari, mentre l’omologo greco, Kyriakos Mitsotakis, ha avvertito che “un embargo energetico non deve essere più doloroso per gli europei che per la Russia”.
Nello sforzo di indipendenza dalle fonti energetiche russe, se si considera l’Europa sud-orientale le vie praticabili sono tre: il collegamento con fornitori alternativi di gas, l’espansione della produzione locale e l’aumento delle consegne di gas naturale liquefatto (GNL). Un ruolo cruciale lo gioca il Paese membro Ue più importante della penisola balcanica, la Grecia. “Il Mediterraneo orientale diventa ancora più importante ora che si cerca una diversificazione delle fonti per allontanarci dal petrolio e dal gas russo”, aveva spiegato a inizio aprile il premier greco Mitsotakis sottolineando che “dovremmo studiare tutti i progetti di interconnessione in quest’area, attraverso oleodotti, gasdotti e GNL”.
La chiave è la diversificazione. Nei prossimi cinque anni il Gasdotto Trans-Adriatico (TAP), che dall’Azerbaijan corre attraverso la Grecia e l’Albania e sotto l’Adriatico fino all’Italia, dovrebbe essere in grado di raddoppiare la propria capacità, dagli attuali 10 miliardi di metri cubi a 20: il gasdotto di interconnessione Grecia-Bulgaria entrerà in funzione a settembre di quest’anno, mentre è in costruzione quello che da Salonicco trasporterà il gas verso la Macedonia settentrionale, con la prospettiva di raggiungere anche Kosovo e Serbia. Ad Alessandropoli, città della Grecia nord-orientale, entro la fine del 2023 dovrebbe entrare in funzione un terminale di GNL con una capacità di 5,5 miliardi di metri cubi, che rappresenterà un punto di riferimento anche per Paesi come Macedonia del Nord e Bulgaria. Le riserve sottomarine di gas nel Mediterraneo orientale potrebbero fornire all’Europa circa 10 miliardi di metri cubi l’anno, ma si dovranno trovare modalità per risolvere le tensioni geopolitiche nell’area e per riprendere i discorsi sul gasdotto EastMed, un progetto da 6 miliardi di euro che dovrebbe trasportare il gas dai depositi al largo di Israele e dell’Egitto attraverso Cipro e Grecia.
Nonostante sembri quasi impossibile rinunciare sul breve periodo ai gasdotti di Gazprom, la strategia di diversificazione potrebbe essere vincente nei Balcani. Sviluppando questa triplice strategia, si potrebbero coprire quasi completamente i volumi modesti di gas richiesti dalle economie e dalle società della regione. Come esempio, è sufficiente pensare che la Grecia, il Paese più sviluppato della penisola, consuma 5,7 miliardi di metri cubi di gas all’anno (l’Italia 76,1). In uno scenario di lungo periodo, la penisola balcanica e il continente europeo potranno ancora aver necessità delle fonti energetiche russe, ma non esserne dipendenti, sviluppando dialoghi e partnership strategiche con attori geopolitici dall’Asia al Medioriente, fino all’Africa.
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