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Enel abbraccia la transizione: più rinnovabili, meno termoelettrico

Enel c’è. I numeri diffusi dal gruppo non lasciano dubbi, specie in un periodo nel quale la tempesta sul gas fa tremare famiglie e imprese. Gli investimenti sono in accelerazione: nel primo semestre di quest’anno sono stati pari a 5,889 miliardi (+22,4% in riferimento allo stesso periodo del 2021), concentrati principalmente in Enel Green Power, infrastrutture e reti. E l’obiettivo di dipendere sempre meno dalle fonti fossili non è solo uno slogan. La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è stata ampiamente superiore rispetto a quella termoelettrica, raggiungendo i 60,3 TWh (59,8 TWh nell’analogo periodo del 2021, +0,9%), a fronte di una produzione da fonte termoelettrica pari a 47,3 TWh (38,3 TWh nello stesso arco di tempo dello scorso anno, +23,7%).

La produzione a zero emissioni ha raggiunto ormai il 59% della generazione totale del gruppo considerando unicamente la produzione da capacità consolidata, mentre è pari al 61% includendo anche la generazione da capacità gestita. La transizione ecologica e sostenibile, eccola qua. Per questo Francesco Starace, Ceo di Enel, è tranquillo nonostante un indebitamento finanziario salito del 19,8% a 62,2 miliardi. “La posizione finanziaria rimane solida e, anche in previsione del perdurare di un quadro generale complesso, grazie alla visibilità di cui godiamo sull’evoluzione del business per la seconda metà dell’anno. Confermiamo dunque la guidance per il 2022 e la nostra politica dei dividendi”.

La sicurezza di Starace dipende anche da un altro fattore. Nella prima metà dell’anno in Europa in alcuni casi ci sono state difficoltà nell’approvvigionamento delle materie prime, che si prevede possano continuare per i prossimi mesi, con conseguente ulteriore incremento del prezzo dell’energia elettrica e una significativa spinta inflazionistica. Un mix pericoloso che ha spinto i governo e le varie authorities a proseguire nell’adozione di politiche di contenimento dei prezzi dell’elettricità per i consumatori finali, con misure in alcuni casi penalizzanti per le società operanti nel settore della generazione e vendita di elettricità.

Ebbene, come ha fatto Enel a non fare la fine di Edf, maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia, che ha chiuso il semestre con una perdita di oltre 5 miliardi per colpa delle centrali nucleari vittime di corrosione e dunque ferme? Semplicemente Enel ha beneficiato della sua diversificazione geografica, combinata con un modello di business integrato lungo la catena del valore. Non solo Italia: il gruppo opera negli Stati Uniti, in Canada, Spagna, Colombia, Cile, Perù, Australia, Brasile, Argentina, Romania… L’elenco è lungo ma si è rivelato provvidenziale in una fase storica che ha visto prezzi crescenti all’acquisto e prezzi obbligatoriamente calanti alla vendita. Ma soprattutto, puntare in tempi non sospetti, con investimenti in mezzo mondo, sulle rinnovabili, garantisce solidità e meno timori sul futuro.

Nadia Bisson

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