C’è veramente il rischio di incorrere quest’inverno in razionamenti del gas?
La situazione negli ultimi giorni si è ulteriormente complicata.
Anche l’Italia, che dal Tarvisio riusciva a importare ancora un po’ di gas dalla Russia (circa il 40% di ciò che storicamente entrava, 55 milioni di mc/giorno contro i 155-160 di prima della guerra) si è ritrovata a secco.
Le ragioni apparentemente sembrano commerciali e non geopolitiche.
Vi è stato un cambio dell’operatore austriaco dei tubi e il nuovo operatore ha modificato le regole di prenotazione e pagamento del servizio rendendole più rigide e conformi alle sanzioni europee, e sembra che Gazprom, l’operatore russo che il gas lo vende, non riesca più a rilasciare le fideiussioni e a fare i pagamenti dovuti. Eni e altri operatori hanno provato a trovare soluzioni pratiche tipo comprare il gas in Slovacchia da Gazprom e poi importare in Austria regolando direttamente, tra europei, i rapporti con l’operatore logistico austriaco, ma dopo un primo consenso dei tecnici russi sulla soluzione proposta questa è stata bloccata dall’alto delle gerarchie russe. E qui la geopolitica sembra di nuovo fare capolino anche se nelle ultime ore forse la questione si sta sbloccando.
È evidente che il permanere di una fornitura di gas dalla Russia, sia pure ridotta rispetto ai contratti, è fondamentale ai fini degli equilibri complessivi dell’approvvigionamento italiano del prossimo inverno.
La preoccupazione, nonostante l’annunciato sblocco del Tarvisio, però rimane.
Ogni volta che c’è la possibilità di utilizzare un ostacolo o un pretesto per non rispettare gli obblighi di fornitura contenuti nei contratti stipulati da Gazprom con controparti europee, il gigante russo del gas se ne avvale. È stato così per la storia dei pagamenti in rubli, poi c’è stata la vicenda delle manutenzioni, poi quella delle turbine che non funzionavano, e ora le nuove regole dell’operatore logistico austriaco.
Ogni scusa è buona per non rispettare gli impegni contrattuali e mettere in difficoltà l’Europa e la sua economia. Gazprom però non dichiara mai apertamente che così si comporta perché si è in guerra, forse per evitare gigantesche richieste di danni.
Fino ad oggi, sia pure con uno sforzo economico notevole, gli stoccaggi sono stati riempiti oltre il 90%, e con la minima fornitura proveniente dal Tarvisio e con l’aumento di forniture dall’Algeria si contava di passare indenni l’inverno con l’adozione di semplici misure di risparmio energetico (il grado in meno della temperatura dei riscaldamenti domestici e degli uffici pubblici, la riduzione dell’illuminazione pubblica e poco altro).
Se lo scenario cambia, e se vi fosse un blocco totale degli arrivi dalla Russia contemporaneamente a condizioni meteo e climatiche avverse, in particolare temperature dell’inverno molto basse, il rischio di razionamento c’è e sarebbe giusto incominciare a parlarne e preparare l’opinione pubblica.
Con un approccio prudente, che si addice a momenti così incerti, i settori industriali hanno lavorato tutto il mese di agosto con Snam per fornire tutti i dati di quantità e di modalità di consumo del gas utili alla predisposizione di un piano di emergenza ma a tutt’oggi non è dato sapere:
Un quadro chiaro dei piani di emergenza è fondamentale per consentire alle imprese industriali di programmare i prossimi mesi e per far ripartire il mercato del gas che per molti operatori industriali, specie quelli di piccole e medie dimensioni, è bloccato a causa delle ingenti garanzie richieste per la stipula dei contratti annuali da parte dei fornitori di gas.
In assenza di una risposta unitaria europea che sembra tardare per le divergenze di interessi che dividono gli stati membri e per la solita resistenza a fare debito comune, così come fu all’inizio nel caso del Covid, la riduzione dei consumi è l’unica arma possibile per cercare di mitigare gli effetti del ricatto russo e della speculazione finanziaria che su di esso si è innestata.
Una riduzione programmata delle attività industriali con l’attribuzione di un minimo di indennizzo, così da ridurre il consumo di gas e proteggere dal razionamento i servizi essenziali e il minimo standard di confort per le famiglie (magari mettersi un maglione in più ma continuare a fare la doccia calda), potrebbe essere coerente con un quadro macroeconomico in rallentamento e quindi con una domanda calante in molti settori manifatturieri.
Il momento delle scelte e delle decisioni è arrivato e vedremo come si comporterà il nuovo governo.
Un’inquietudine ulteriore colpisce tutti noi. La vicenda dei sabotaggi ai tubi del North Stream si staglia inquietante sullo sfondo. Chi ha fatto saltare le condutture?
I servizi tedeschi sembrano avere pochi dubbi sul fatto che si tratti di un avvertimento russo alla Germania. Pochi giorni prima delle esplosioni l’ambasciatore russo a Berlino Sergey Razov aveva detto: “Nel sostegno militare all’Ucraina la Germania sta oltrepassando la linea rossa”. Una rivendicazione preventiva? Forse qualcosa di più di una coincidenza.
Se la strategia di Putin è quella di ostacolare la diversificazione delle fonti di approvvigionamento che renderebbero l’Europa libera dal ricatto russo, allora i gasdotti alternativi Transmed, che porta il gas dall’Algeria, Blue Stream che lo porta dalla Libia, TAP che lo porta dall’Azerbaigian devono essere monitorati continuamente e protetti da misteriosi sabotaggi che potrebbero verificarsi. Non è così assurdo che il Cremlino pensi di colpire le infrastrutture che quella diversificazione e quella indipendenza consentono.
Quanto sia strategico il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo e quanto importante sia il ruolo della Marina Militare Italiana per la difesa dei nostri interessi e della nostra indipendenza è evidente a tutti.
Navi e sommergibili italiani sono impiegati in questo momento per monitorare senza sosta passaggi e manovre di mezzi militari non dell’Alleanza atlantica. Così come fanno anche altri mezzi, droni e aerei, della nostra Aeronautica militare.
Da quando la Russia ha riattivato la base di Tartus in Siria, l’unica base militare russa fuori dai confini dell’ex Unione Sovietica, molte navi della Marina russa sono tornate ad operare con continuità nel Mediterraneo. Oggi se ne contano almeno 11 senza considerare i sommergibili che, numerosi, solcano le profondità del nostro mare.
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