Concerti, fiere e festival possono essere davvero a impatto zero? E la sostenibilità – intesa come soddisfazione dei bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri – è davvero a portata di mano? Secondo Research and Markets, le dimensioni del settore degli eventi dovrebbero crescere da 1.135,4 miliardi di dollari rilevate nel 2019 a 1.552,9 miliardi di dollari nel 2028. In Italia, secondo la Siae, il 2022 ha visto oltre 3 milioni di eventi e ha generato una spesa di 3 miliardi (+183% rispetto all’anno precedente). In questo contesto, la questione della sostenibilità è aperta: se consideriamo solo la produzione di rifiuti, ad esempio, un’indagine della Bbc sull’impatto ambientale dei festival musicali mostra che soltanto nel Regno Unito ogni anno questi producono circa 23.500 tonnellate di rifiuti, circa lo stesso peso di 78 aerei Boeing 747 a pieno carico.
A dire il vero, qualcuno ci ha provato davvero ad avvicinarsi all’impatto zero. E’ il caso di band come i Coldplay che nel 2022 hanno organizzato un tour riducendo le emissioni di CO2 del 50% rispetto a quello precedente. Anche la società di intrattenimento Live Nation da diversi anni è impegnata a ridurre l’impatto – sia all’interno della coalizione globale Green Nation Touring Program sia con la creazione di un reparto Green Nation – attraverso iniziative concentrate sull’uso di energia e acqua, sui trasporti (facendo partnership con Trenitalia) e sull’efficientamento complessivo delle risorse. E alcuni grandi festival si stanno muovendo in questa direzione, tra cui il Boom Festival, tra Italia, Austria e Slovenia, che ha ricevuto la certificazione europea GSTC per il turismo sostenibile.
Come spiega Valeria De Grandis, Account Director di Superstudio Events, “purtroppo oggi ancora non è possibile organizzare un evento totalmente a impatto zero, in quanto non è praticabile eliminare o compensare tutte le emissioni e i rifiuti generati”. Esistono però, dice, “diverse best practices, che si possono adottare e che il comparto sta già adottando, guidato dalla richiesta del pubblico ma anche dalla sensibilizzazione che arriva da parte delle associazioni di categoria. Certamente si tratta di un processo complesso, a volte lungo, che richiede impegno da parte di chi organizza gli eventi”.
Secondo l’esperta, intanto è necessario partire dalla consapevolezza, perché “spesso non si ha ben chiaro in cosa non si è sostenibili”. Perciò, la prima cosa da fare “è un’analisi approfondita che identifichi le principali fonti di impatto di un evento. In genere, le criticità più diffuse riguardano il consumo di energia, l’uso di acqua, il trasporto dei partecipanti, la produzione e lo smaltimento dei rifiuti”. In secondo luogo, “tra gli aspetti più impattanti vi è senz’altro la scelta della venue: alcuni luoghi sono intrinsecamente più sostenibili di altri”. Quindi è meglio preferire luoghi industriali dismessi da ristrutturare “per raccoglierne l’eredità e restituire valore alla comunità locale”. Fondamentali poi, dice De Grandis, “gli impatti dei mezzi di trasporto – idealmente, accertarsi di organizzare l’evento vicino a una qualche fermata del trasporto pubblico oppure predisporre dei collegamenti con le stazioni –, la scelta di fornitori a loro volta sostenibili e il più prossimi possibile alla sede l’evento, l’utilizzo di materiali riciclabili, l’ottimizzazione dell’illuminazione e il riciclo dei rifiuti prodotti durante l’evento”.
Insomma, conclude l’esperta, “non sarà possibile realizzare l’evento perfetto dal punto di vista della sostenibilità ma si possono certamente creare dei processi misurabili e concreti, che rispondono a dei parametri condivisi e certificati, per rendere sempre meno impattanti tutte le manifestazioni che organizziamo, a livello pratico e molto più a fondo di qualsiasi slogan di marketing”.
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